Roberto Mania, la Repubblica 28/4/2014, 28 aprile 2014
TRA I MILIZIANI FILORUSSI DELL’EST
Abiti civili, in apparenti buone condizioni fisiche, gli otto osservatori dell’Osce (i quattro tedeschi, il danese, il polacco, lo svedese e il ceco) da venerdì nelle mani dei ribelli filorussi di Sloviansk, insieme a quattro ufficiali ucraini di cui però si sono perse le tracce, sono stati ieri esibiti alla stampa internazionale con una specie di colpo di teatro. Manco a dirlo con la sapiente regia di Vlaceslav Ponomariov, il leader dei separatisti, l’uomo forte dei filo Putin oltre che il sindaco autoproclamatosi di questa cittadina di centomila abitanti dell’Est Ucraina che ha dichiarato guerra al potere di Kiev. «Come potete vedere – ha affermato con sarcasmo Ponomariov – non li abbiamo torturati, sono vivi e in buona salute, sono prigionieri di guerra però e non possono quindi essere liberati se non in cambio di nostri uomini attualmente detenuti nelle carceri ucraine».
Messaggio chiarissimo. Il portavoce del gruppo degli otto, il colonnello tedesco, Axel Schneider, visibilmente non a proprio agio, lo contraddice solo in parte, definendosi un ospite e non un prigioniero anche se, deve ammettere, impossibilitato come tutti gli altri a tornarsene liberamente a casa. Teatro di questa pièce a uso dei media internazionali il palazzo del Municipio, un
anonimo parallelepipedo di cemento con i cecchini sul tetto e i sacchetti di sabbia all’ingresso come in ogni zona di “guerra” che si rispetti. Anche se nella brutta piazza su cui guarda il palazzo, piazza della Rivoluzione d’Ottobre con tanto di statua di Lenin, il clima è decisamente quello di una domenica di pace, con coppie che passeggiano e i ragazzi al bar a parlare di calcio. Sarà che oggi è festa, ma questa “rivoluzione” non sembra coinvolgere più di tanto le masse. È roba per pochi, un migliaio, al massimo duemila persone. Ex militari, reduci della guerra in Afghanistan per lo più, nostalgici della grande Urss, ingaggiati a 500 dollari al giorno, i capi, per girare in mimetica, armati di fucile e col volto coperto. «Ma quali soldi, io combatto per un’idea, contro i fascisti, contro Kievskaya kunta (il governo illegale di Kiev, ndr)», si inalbera Konstantin che certo non può ammettere ciò che ormai non è più un segreto: il tariffario della “rivolta”. 500 dollari per gli ufficiali, per gli uomini in verde, 200 per i “soldati”, 40, 50 per tutti gli altri, quelli che stanno ai posti di blocco armati solo di mazze. La regia, quella vera, è affidata a un pugno di russi che se ne stanno in disparte e che sono le vere menti dell’Operazione Secessione. Chi paga? Yanukovic, l’ex presidente, e soprattutto Renat Ahmetov, un patrimonio di 20 miliardi di dollari, il padrone di mezzo paese e di gran parte della regione di Donetsk, miniere, acciaierie, alberghi, squadre di calcio,
amico personale di Putin oltre che grande elettore di Yanukovic. «Filo russo il grande Ahmetov? Direi più che altro filo se stesso — spiega Boris, giornalista d’assalto — è uno abituato a prendersi quello che vuole, che non paga le tasse, non tutte almeno, e che vuole continuare a fare il bello e il cattivo tempo. I numeri non mentono, il Donetsk versa solo sei miliardi di dollari all’erario, mentre ne riceve più del doppio. Se la regione si sgancia da Kiev, nessuno gli presenterà mai il conto».
Terra di miliardari il Donetsk, se Ahmetov si dice finanzi i filo russi, Igor Kolomoyskiy, governatore di Dnipropetrovsk, sembra opporvisi. E promette diecimila dollari a chiunque consegni, arresti, blocchi un russo con un fucile. E solo 1000 a chi metta le manette a un ucraino armato di kalashnikov. «Ahmetov e Kolomoyskiy sono due facce della stessa medaglia — continua Boris — l’intramontabile gioco della parti. Renat finanzia i filorussi, Igor scuce quattrini per dimostrare che qui non ci sono russi come dice Putin. Nella peggiore delle ipotesi gli costerà qualcosa ma si sarà comunque ingraziato il futuro presidente per poter continuare a fare business senza troppe regole anche quando tutto questo sarà finito». Comune, sede della Cbu, i servizi di sicurezza ucraini, le stazioni di polizia, tutto sembra essere sotto il controllo dei ribelli nell’apparente indifferenza dei più. Che forse non applaudono, ma certo non sono contrari. Sulla carta un blitz per liberare Sloviansk potrebbe essere un gioco da ragazzi, ma quel che è certo e che politicamente sarebbe un disastro. Ecco perché le forze di sicurezza ucraine che si dice assedino la città ribelle, se ne stanno invece a debita distanza, a una cinquantina di chilometri almeno tra Sloviansk e Artemivsk, Con l’obiettivo, si dice, quantomeno di impedire che arrivino nuove armi ai ribelli.