Fausto Narducci, La Gazzetta dello Sport 27/4/2014, 27 aprile 2014
ADDIO LOPOPOLO
A un mese da Carmelo Bossi, la boxe italiana piange la scomparsa di Sandro Lopopolo morto ieri a 74 anni dopo grave malattia per un’infezione alle vie respiratorie. I funerali (la famiglia non ha ancora comunicato la data) si terranno nella chiesa evangelica «Gesù vive» di Baranzate (Milano).
Se ne va un maestro di stile, un pugile non dotato di talento straordinario ma che più di tutti ha rappresentato l’eleganza italiana dentro e fuori dal ring. Nella boxe ci sono sempre strani destini che si incrociano e non fa eccezione Sandro Lopopolo, erede naturale di Duilio Loi, che ci lascia poco dopo il suo «gemello» Carmelo Bossi, come lui iridato e argento olimpico a Roma ’60. Comunque sia, a rileggere la storia di questo minuto milanese di origine pugliese che riportò in Italia il titolo mondiale dei superleggeri (allora si diceva welter junior) lasciato tre anni e mezzo prima da Duilio Loi, a cui aveva cercato di rubare il mestiere a Milano, si torna ancora una volta indietro all’epoca d’oro del nostro ring, a quella generazione oggi ancora rappresentata fulgidamente da Benvenuti e Mazzinghi, che secondo le leggi della natura (e ancor più dei danni fisici inflitti dal pugilato) continua a perdere pezzi.
Generazione Della pattuglia azzurra che tornò con la faretra piena di sette medaglie dall’Olimpiade romana resa famosa da Benvenuti e Cassius Clay, Lopopolo non era certamente il più dotato, non solo per le limitazioni fisiche imposte dalla sua bassa statura (1,67) rispetto ai limiti della categoria. Mentre i genitori ritornavano a Bisceglie per sfuggire ai rigori della Guerra, Sandrino, cresciuto in uno scantinato occupato da nove persone, la sua fortuna inizialmente la trovò non nella boxe ma nel tennis perché fu arrabattandosi come raccattapalle del Tennis Club Milano e fattorino della rivista «Tennis Italiano» che cominciò a raggranellare gli spiccioli per aiutare anche i suoi 5 fratelli. Precocemente fidanzato con la tredicenne Ida, diventata poi sua moglie, l’ex idraulico fu poi fulminato sulla via del Vigorelli dagli allenamenti di Loi e si presentò all’Alfa Romeo dal maestro Gigi Graziani che lo portò fino alla finale olimpica persa a Roma (non senza contestazioni) dal polacco Pazdior .
Limiti Ma proprio la realizzazione da professionista di questo ballerino del ring senza grande pugno, rappresentò la scommessa del maestro Steve Klaus che lo volle a tutti i costi nella sua scuderia. Raggiunta la prima vittoria solo al terzo match, al milanese ne occorsero ben trenta per disputare e conquistare la prima delle sue due corone tricolori nei superleggeri (nel ’63 con Caruso a Mestre) e quaranta per fallire il primo assalto europeo (in casa dello spagnolo Albornoz). Come poi sarebbe successo a Carmelo Bossi nel ’70 con Little a Monza, il 24 settembre ’66 Lopopolo riuscì a sfruttare il ring romano del Palaeur per conquistare a sopresa il Mondiale: il venezuelano Carlos Hernandez, campione Wba che si considerava ed era considerato fuori dalla sua portata, commise l’imperdonabile errore di lasciargli accumulare punti su punti nelle prime riprese e neanche un atterramento nell’ultima ripresa gli bastò a convincere i due giudici (l’arbitro spagnolo Risoto diede il pari) che consegnò giustamente il titolo all’italiano.
Declino Fu purtroppo l’ultimo sprazzo di una carriera che vide Lopopolo preferire alla sfida più attesa con Josè Napoles una remunerativa ma rischiosissima trasferta in Giappone dove il fenomenale giapponese Takeshi Fuji un anno dopo (e solo alla seconda difesa) gli strappò il titolo in due round. A 28 anni non ancora compiuti, Lopopolo non seppe riprendersi da quel gancio sinistro da k.o.: più che per gli altri tre falliti assalti europei, i favori del pubblico milanese gli vennero però a mancare soprattutto per l’inattesa sconfitta nella semifinale iridata disputata contro l’americano Lennox Beckles nel sottoclou del celebre Mazzinghi-Kim Ki Soo nel ’68 a San Siro e per il rifiuto di sfidare l’astro nascente Bruno Arcari seguendo la promessa fatta alla moglie e ai tre figli. Ma della sua generazione Lopopolo era anche quello destinato a far più discutere dopo l’addio al ring, avvenuto nel ’73, senza la gioia del titolo europeo lungamente inseguito, con un record di 59 vittorie in 77 match: sindacalista (si è sempre battuto per i diritti dei pugili) per vocazione e infaticabile commentatore televisivo dai giudizi taglienti, Lopopolo ha superato varie traversie economiche accedendo nel 2003 alla legge Onesti prima che una grave malattia lo costringesse ad uscire anzitempo dalla scena. Anche per quello che ha dato fuori dal ring la boxe, senza Sandro Lopopolo, non sarà più la stessa.