Marco Del Corona, Corriere della Sera 28/4/2014, 28 aprile 2014
UN INCHINO E L’ADDIO. IL PREMIER «SI LICENZIA» PER LA STRAGE DEL TRAGHETTO
Le dimissioni del primo ministro non cambiano la sostanza. È una ferita aperta che aperta rimarrà, nell’anima della Corea: l’inabissarsi del traghetto Sewol il 16 aprile scorso è una tragedia ancora in svolgimento anche se il finale è già arrivato. Un’ecatombe, con 188 corpi recuperati, 174 sopravvissuti, e fra questi 22 dei 29 membri dell’equipaggio, con probabilmente 114 dispersi che a questo punto è impossibile non vadano ad aggiungersi al numero delle vittime, per quattro quinti liceali in gita accompagnati dai professori. Il disastro avvenuto non distante dalle coste sudoccidentali della penisola sulla rotta tra Incheon e l’isola di Jeju, tuttavia, sta incidendo in modo profondo la carne della società e lo stesso establishment politico non può far finta di non essere chiamato in causa.
Dopo una decina di giorni di critiche all’operato del capitano e delle autorità, di rabbiosa delusione per l’inefficacia dei soccorsi, di contestazioni vivaci, ieri il primo ministro, il conservatore Chung Hong-won, ha annunciato le sue dimissioni: «Mantenere il mio incarico — ha scandito in una dichiarazione ripetuta dalle tv sudcoreane — è un peso troppo grave sull’esecutivo», aggiungendo che «da parte del governo, porgo le mie scuse per tutti i problemi che vanno dalla prevenzione dell’incidente alle prime misure per fronteggiare l’emergenza». Poi un affondo al cuore dell’ethos nazionale: «Troppe le irregolarità, troppi i comportamenti negativi tra noi. Per troppo tempo. Spero che possano essere apportate correzioni in modo che incidenti così non possano ripetersi».
Chung era stato contestato in modo vivace durante una sua visita ai parenti di morti e dispersi, lo stesso era capitato persino alla presidente della Repubblica, Park Geun-hye, eletta a fine 2012 e in carica da poco più di un anno. Ma «le grida dei ragazzi e dei genitori mi tengono sveglio la notte», ha spiegato il primo ministro, evidentemente consapevole di quanto quel dolore sia intrecciato ai «mali» diffusi di una società che si sa dolente (e forse malata) nel numero di suicidi, nella competizione parossistica, nelle lacerazioni radicali che i suoi registi (da Kim Ki-duk a Park Chan-wook) e i suoi scrittori (da Yi Mun-yol a Shin Kyung-sook,da Hwang Sokyong a Kim Young-ha, tutti tradotti in Italia) sanno rendere con pietosa ferocia.
Il simbolico gesto di espiazione di Chung serve a tentare di placare indignazione, frustrazione e dolore: risponde a un codice morale condiviso e radicato, figlio dell’etica confuciana che permea la società sudcoreana. Non basta l’arresto di 15 membri dell’equipaggio (il capitano e tutto il personale addetto alla navigazione). E poco o nulla contano le reazioni della propaganda nordcoreana, oltre il 38° parallelo, che ha alternato l’irridente critica dell’inefficienza del Sud alle condoglianze ai «fratelli separati». Sembra un atto dovuto, anche se di scarso peso: non soltanto il ruolo del premier, nel presidenzialismo forte della Repubblica di Corea, è confinato a poco più di una gestione degli affari correnti; ma nel caso specifico di Chung, resterà in carica finché la questione del Sewol non sarà risolta. E potrebbero essere necessarie settimane, prima di recuperare tutti i corpi.