Sergio Romano, Corriere della Sera 27/4/2014, 27 aprile 2014
STORIA DELL’ITALIA IN GUERRA FRA BOMBE E LEGGENDE
Sono una professoressa dell’Università degli Studi di Napoli «L’Orientale» e da anni mi sto occupando della mitologia germanica nell’Inferno dantesco. Vorrei sapere se Lei conosce la storia dell’ufficiale tedesco che decise di non bombardare parte della città di Roma, poiché negli archivi della Capitale erano conservati dei documenti che provavano l’origine germanica delle genti romane. Potrebbe confermarmi i particolari del racconto?
Cristina Wis
Cara Signora,
La storia piacerebbe a Dan Brown e potrebbe ispirargli una trama romanzesca nello stile «del Codice da Vinci», ma è probabilmente una delle molte leggende sui segreti del Vaticano che circolano soprattutto negli ambienti dell’anti papismo anglosassone. Se esistesse un documento fantastorico sulle origini germaniche di Romolo e Remo, il problema della sua autenticità avrebbe già mobilitato storici e filologi.
Ne ho parlato comunque con Lutz Klinkhammer, responsabile delle ricerche di Storia contemporanea presso l’Istituto storico tedesco di Roma e autore fra l’altro di un indispensabile studio su L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, pubblicato nel 2007 dall’editore Bollati e Boringhieri. Gli è parso molto improbabile che un ufficiale di rango inferiore avesse il potere di scegliere quali obiettivi colpire o risparmiare. La scelta spettava ai generali comandanti e in questo caso a Kesselring che decise di abbandonare Roma senza lasciarsi alle spalle una città distrutta. È vero che un piccolo reparto tedesco, in circostanze non ancora del tutto chiare, aveva distrutto «un importantissimo deposito di documenti d’archivio proveniente dall’Archivio di Stato di Napoli con carte della cancelleria angioina di importanza unica per la storia dell’Italia meridionale». Ma il deposito era a San Paolo Belsito dove era stato sfollato quando Napoli era ancora esposta ai bombardamenti angloamericani. Kesselring respinse la richiesta del generale Hube, comandante del XIV corpo d’armata tedesco, che intendeva bombardare la capitale del Sud per punire l’insurrezione della città alla fine di settembre del 1943. Dopo avere salvato Napoli, il comandante delle forze tedesche in Italia non volle che la storia lo ricordasse per la distruzione della Città eterna. Sembra del resto che avesse, su questo punto, il sostegno dello stesso Hitler.
Sin qui, cara Signora, le notizie e le considerazioni di Klinkhammer. Posso soltanto aggiungere che i danni inferti dalla Germania al patrimonio furono soprattutto le razzie delle SS destinate a rimpinguare la già obesa collezione di Göring e a riempire il museo di Linz, intitolato a Hitler, con cui il Führer, dopo la vittoria, voleva divinizzare se stesso. I danni dal cielo, anche a Roma il 19 luglio 1943, furono invece quelli dei bombardieri angloamericani a cui si debbono alcune delle maggiori distruzioni mai subite da un grande patrimonio artistico europeo. Ma non posso fare queste considerazioni senza ricordare che avevano almeno un’attenuante (la guerra era stata dichiarata dall’Italia) e che i «monuments’ men», descritti in un recente film di George Clooney, cercarono spesso di salvare e riparare il giorno dopo quello che avevano danneggiato il giorno prima.