Stefano Montefiori, Corriere della Sera 27/4/2014, 27 aprile 2014
«PIKETTYMANIA»? NON NELLA SUA FRANCIA: LÌ LO CHIAMANO MARX
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI — «Che cosa hanno in comune Barack Obama, il Papa, Marine Le Pen e Christine Lagarde (direttrice del Fondo monetario internazionale, ndr )? Hanno tutti letto il libro di Thomas Piketty», dice Daniel Cohn-Bendit, l’eurodeputato franco-tedesco a sua volta entusiasta del «Capitale nel XXI secolo».
In questi giorni Piketty trionfa negli Stati Uniti. Il suo ponderoso volume (quasi 1.000 pagine nell’edizione francese, oltre 700 in quella americana) è una storia delle diseguaglianze attraverso i secoli e un atto d’accusa al capitalismo contemporaneo, basato a suo dire sui patrimoni accumulati senza fatica e non sui redditi frutto di merito e talento. Una struttura economica ridiventata ottocentesca, sostiene Piketty, dopo due guerre mondiali che avevano avuto come effetto collaterale la distruzione di grandi fortune e la creazione di enormi opportunità. Oggi, secondo Piketty, siamo tornati a un’era in cui non vale la pena lavorare: per arricchirsi, l’unica è ereditare.
Le tesi del 42enne economista francese stanno avendo un enorme successo nel mondo anglosassone. Dopo i britannici Financial Times e Economist , di solito pronti a lodare, della Francia, più i croissant che le teorie economiche, Piketty domina il dibattito e le copertine di New Yorker , Nation , New Republic , New York Review of Books , viene criticato dal Wall Street Journal ma incensato dai premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz. Sul New York Times , giovedì, è stato il «Piketty day» come lo ha definito lo stesso Krugman, con il suo editoriale intitolato «The Piketty Panic» e il commento dell’altra grande firma, David Brooks, che in «The Piketty Phenomenon» arriva a evocare (con ironia) la Beatlemania.
L’impazzimento americano per Thomas Piketty rende orgogliosi i francesi, che mettono in prima pagina l’ex consigliere economico di Ségolène Royal a sei mesi dall’uscita del libro in Francia. Per Piketty è una consacrazione insperata, cinque anni dopo l’interrogatorio in commissariato per le percosse all’allora compagna Aurélie Filippetti, oggi ministro della Cultura (lei dopo le scuse ritirò la denuncia).
«Piketty è primo in classifica su Amazon», si ripete. Eppure, in Francia al primo posto in classifica non ci era arrivato. «Il premio Nobel Krugman scrive che cambierà il modo in cui pensiamo la società e ci occupiamo di economia», riportano i giornali. Ma quando «Le Capital au XXIe siècle» è stato pubblicato a Parigi, l’accoglienza è stata meno calorosa. E non solo perché il collega economista Nicolas Bavarez, di area conservatrice, ha dato a Piketty del «Karl Marx da sotto-prefettura». La sinistra francese ha apprezzato sicuramente il libro ma senza i toni americani, e soprattutto con una eccezione di peso: quella di François Hollande. Se Piketty è stato ricevuto alla Casa Bianca dai consiglieri economici di Obama, nessun tappeto rosso per lui all’Eliseo.
Il presidente della Repubblica in campagna elettorale aveva promesso una «rivoluzione fiscale» largamente basata sugli studi di Piketty sulle diseguaglianze, ma una volta eletto ha abbandonato il progetto. Le ricette ormai diventate Pikettynomics prevedevano la trattenuta alla fonte (in Francia si paga dopo) e una tassazione progressiva dei redditi e dei capitali insieme. Di quell’idea è rimasta solo la famosa tassa-simbolo del 75%, che Hollande ha brandito prima del voto suscitando grande scalpore: ma avrebbe riguardato al massimo 5.000 persone, e in ogni caso è stata bocciata dalla Corte costituzionale. L’economista fenomeno, adorato in America, in patria era già stato scaricato. Tutti leggono «Il Capitale nel XXI secolo», tranne Hollande. I due non si parlano più, e il giudizio di Piketty sul suo presidente è senza appello: assez nulle , «vale poco».