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 2014  aprile 26 Sabato calendario

TENEREZZA E ACCOGLIENZA RONCALLI È PER BERGOGLIO UN “FRATELLO MAGGIORE”


«Un faro luminoso per il cammino che ci attende». L’aveva definita così, Papa Francesco, la figura di Giovanni XXIII, senza possibilità di fraintendimenti. Una testimonianza che illumina il cammino del popolo di Dio e l’operato della sua guida nell’avanzare del Terzo Millennio. Bergoglio ha usato quelle parole il 3 giugno dello scorso anno, in occasione del pellegrinaggio della diocesi di Bergamo nel cinquantesimo anniversario della morte di Roncalli. E i più avvertiti tra gli osservatori intuirono già allora come sarebbero andate le cose. Parole chiare che, da sole, dicevano della profonda sintonia tra Papa Francesco e Giovanni XXIII che domenica sarà fatto santo pro gratia (vedi scheda), insieme con Giovanni Paolo II. Leggendo gli scritti e studiando le opere di Angelo Giuseppe Roncalli si possono individuare molte somiglianze con Jorge Mario Bergoglio. Del resto, la scelta della canonizzazione «per grazia» è, in qualche modo, un’indicazione della sensibilità del Papa che la adotta. Giovanni Paolo II la promulgò per i 120 martiri perseguitati per la fede in Cina, Francesco vi ricorre, più che per ribadire l’attualità del Concilio Vaticano II tout court come qualcuno, un tantino ideologicamente, ha voluto asserire, per indicare un esempio di spiritualità, un modello di spiritualità, una sensibilità ecclesiale, una mitezza e una sobrietà che gli sono particolarmente prossime.
Tenendo conto di tutto ciò, azzardando una formula giornalistica, si potrebbe quasi definire Roncalli come il fratello maggiore di Francesco. Le affinità tra i due papi sono, infatti, numerose e significative. Il senso di paternità e la capacità di accoglienza, per esempio. Ma anche la sottolineatura della tenerezza nel rapporto tra Dio e l’uomo. Basta ricordare il celebre «discorso della luna» («Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa») per riconoscere i gesti di affetto di Bergoglio ai bambini in Piazza san Pietro. Nell’esercizio del proprio magistero, entrambi «parroci del mondo», hanno dato priorità alla cura delle anime comprensiva dell’abbraccio ai lontani.
Ma è una sintonia che inizia dal cuore stesso del cristianesimo. Ecco come Francesco parla del Papa bergamasco: «Era un uomo di governo, era un conduttore. Ma un conduttore condotto, dallo Spirito Santo, per obbedienza. Ancor più profondamente, mediante questo abbandono quotidiano alla volontà di Dio, il futuro papa Giovanni ha vissuto una purificazione, che gli ha permesso di distaccarsi completamente da se stesso e aderire a Cristo». In un’altra occasione Bergoglio mette in luce la spoliazione francescana di Roncalli. Gesù chiede di perdere la propria vita per salvarla: «Qui sta la vera sorgente della bontà di Roncalli». La sintonia diviene ancora più esplicita sul modo d’intendere la Chiesa che dev’essere in grado di parlare a tutti. Non a caso la Pacem in terris fu la prima enciclica rivolta a tutti gli uomini di buona volontà». Ma, annota Albino Luciani, dopo alcuni colloqui con Roncalli, «anche qui non cade un iota solo della dottrina». È l’orizzonte complessivo che cambia: da una Chiesa-fortezza a una Chiesa inclusiva, capace di gettare ponti verso il mondo senza annacquare la propria proposta. Ma usando «la medicina della misericordia», anche questo tema prediletto di Bergoglio e reso addirittura pop con la distribuzione della «misericordina», il farmaco del rosario, ad un Angelus di qualche mese fa. «Sono maestro di misericordia e di verità», annota ancora Roncalli nel suo Giornale dell’Anima. Un maestro che, al momento di «prendere decisioni rigide», si chiede se levandosi una spina «non ne meriterei altre più pungenti? E poi, la verità, la carità, la misericordia?». E più avanti osserva: «La bontà vigilante, paziente e longanime arriva ben più in là e più rapidamente che non il rigore e il frustino».
Anche la semplicità, lontano da compiacimenti dialettici, è un tratto che accomuna i due Papi. Parlando di linguaggio, Roncalli osserva: «È più conforme all’esempio di Gesù la semplicità attraente, non disgiunta dalla prudenza dei savi e dei santi, che Dio aiuta. La semplicità può suscitare, non dico disprezzo, ma minor considerazione presso i saccenti. Poco importa dei saccenti...». Accenti che ricordano da vicino le critiche di Bergoglio ai «cristiani ideologici», coloro «che pensano la fede ma come un sistema di idee».
Infine, la sensibilità francescana. Molti dei vaticanisti dell’epoca - da Henri Fesquet (Le Monde) che scrisse Fiorettidi bon pape Jean, a quelli di Famiglia cristiana che si chiedeva se non fosse Giovanni XXIII «il san Francesco del secolo presente?» - sottolinearono la scelta della povertà di Roncalli. Che nel suo Testamento spirituale scriveva: «Nato povero, ma da onorata e umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero, avendo distribuito secondo le varie esigenze e circostanze della mia vita semplice e modesta, a servizio dei poveri e della Santa Chiesa che mi ha nutrito... Ringrazio Iddio di questa grazia della povertà di cui feci voto nella mia giovinezza, povertà di spirito, come prete del S. Cuore, e povertà reale...». E anche qui è fin troppo facile riconoscere i tratti della «Chiesa povera e per i poveri» auspicata da Francesco.