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 2014  aprile 26 Sabato calendario

L’ITALIANA CHE INVENTA LA GEOMETRIA «LA MIA ELICA SERVIRÀ ALLA MEDICINA»


Da piccola Katia Bertoldi si divertiva ad aiutare il padre litografo: insieme componevano le figure da stampare sulla carta, a Trento. Oggi ha 36 anni, insegna Ingegneria meccanica applicata in una delle più importanti università degli Stati Uniti, Harvard, e gioca con figure tridimensionali molto più complesse. Ne ha appena creata una finora sconosciuta in natura: un’elica «anomala» che ricorda un cavatappi ma cambia continuamente il verso della propria curvatura.
Ribattezzata «emi-elica», potrà trovare applicazione in particolare nelle nanotecnologie, per costruire composti biologici o manipolare le onde magnetiche, un processo fondamentale per sviluppare apparecchi di uso medico. È solo l’ultima di una serie di scoperte che il prossimo novembre farà ricevere alla giovane italiana il «Thomas J. R. Hughes Young Investigator Award», a Montreal, in Canada, riservato ai migliori ricercatori di Ingegneria meccanica under 40, e che nel 2012 le è valsa il «National Science Foundation’s Faculty Early Career Development Award», un finanziamento da 400 mila dollari del governo americano per gli scienziati più promettenti.
All’inizio questa ragazza dalla parlantina veloce, che alterna frasi in italiano e inglese, non pensava di finire a creare per lavoro nuove geometrie. Diplomata al liceo classico, la affascinavano soprattutto gli edifici. «Volevo fare l’architetto — racconta al telefono da Cambridge —, ma poi ho deciso di iscrivermi a Ingegneria civile, indirizzo edile. Mi è bastato il primo esame di design per capire che non era la mia strada: mi mancava il gusto artistico. Alla fine ho scelto Ingegneria strutturale».
Anche lì si è resa presto conto che i suoi interessi la portavano a prendere percorsi inaspettati. «L’ossessione degli ingegneri è la stabilità — spiega —. Se costruisci un ponte, ti interessa evitare che si deformi e vada giù. A me invece piace vedere come le forme possano cambiare in modo sorprendente». La sua emi-elica è nata così: «Due anni fa lavoravamo a un altro progetto e dovevamo realizzare delle molle con delle gomme. Abbiamo incollato insieme due pezzi di polimeri di lunghezze diverse, “stretchando”, cioè stirando, quello più corto. Poi li abbiamo rilasciati. Ci aspettavamo che creassero un’elica normale, invece veniva fuori una figura che non avevamo mai visto», dice. «La natura è piena di eliche, dai batteri alle corna dei mufloni, al Dna: ho cercato parecchio, ma una struttura simile alla mia emi-elica non sono riuscita a trovarla — aggiunge —. Ora che abbiamo capito come si produce, ci interessa capire in quali proprietà si traduce».
È scienza e una questione di formule matematiche, ma quando Bertoldi ne parla sembra quasi un gioco, come se le figure che maneggia fossero plastilina nelle mani di un bambino, non invenzioni su cui si basano tecnologie raffinatissime. E in effetti per una delle sue scoperte più importanti si è basata proprio su un giocattolo: «Si chiama “Twist-o” e si trova anche in Italia: è formato da tanti pezzettini rigidi connessi che permettono di passare da una sfera grande a una piccola. Abbiamo perso le ore a guardarlo — racconta —. Volevamo eliminare le cerniere, che sono molto difficili da costruire su scale piccole. Alla fine siamo riusciti a fare una mini sfera di silicone che è un pezzo unico, ma sottoposta a pressione si riduce di dimensioni». È l’invenzione che le ha fatto vincere un finanziamento da quasi mezzo milione di dollari.
Nel tempo libero Bertoldi fa soprattutto sport: sci, corsa, bici e orienteering (gare di velocità che richiedono di trovare un percorso nei boschi con bussola e mappa) insieme al marito Giovanni Berlanda Scorza, anche lui un ingegnere di 36 anni, che l’ha seguita in America (lavora alla General Electrics). Ci sono arrivati quattro anni fa e al momento non hanno intenzione di tornare in Italia: «Non posso neanche prenderlo in considerazione, non è un’alternativa — ammette Bertoldi —. Qui mi hanno messa subito a dirigere un mio gruppo. Ti può anche intimidire, perché è una responsabilità, ma è un’opportunità che in Italia non avrei avuto». Senza considerare i 400 mila dollari che ha ricevuto in premio. Cosa ci si può fare? Un’altra cosa impensabile in Italia: «Ci assumi due studenti di dottorato per 5 anni», dice Bertoldi. Basta un rapido conto (40 mila euro l’anno a studente per fare ricerca) per capire tutta la differenza.