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 2014  aprile 26 Sabato calendario

LA SCOMMESSA DI VALERIO

Scavallati i vent’anni di mestiere, Valerio Mastandrea ha perso in entusiasmo e guadagnato in consapevolezza. La coerenza artistica, umana, è intatta. «Il tempo e la vita ti cambiano. A lungo recitare è stato un bacino dove riporre la rabbia, l’insicurezza, la passione che non riuscivo a esprimere. Poi cresci, ti fai una famiglia, hai bisogno di altro. Il cinema ora mi sembra altro. Oggi mi serve di più stare dietro la macchina da presa». Quarantadue anni compiuti il giorno di San Valentino, l’attore romano e romanista sta per debuttare alla regia con un film tratto dalla graphic novel La profezia dell’armadillo di Michele Rech in arte Zerocalcare, che firma la sceneggiatura con lo stesso Mastandrea (disegnato sul blog dell’artista come “l’incappucciato della panchina”), Johnny Palomba (“l’incappucciato con gli occhiali da sole”) e “il samurai della Garbatella” Oscar Glioti. Un racconto di solitudine e ricordi nella quotidianità di una periferia romana, quartiere Rebibbia.
L’umanità del fumetto è quella di borgata, che da attore ha incarnato spesso. Come il tatuatore di La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati.
«Volevo lavorare con Carlo da quando vidi, per caso, Un’altra vita. Recitavo da poco, quel film mi regalò l’idea che al cinema si poteva trovare l’epica nelle piccole storie. Era ambientato al Tuscolano, mi colpì la conoscenza dell’umanità della nuova periferia. Dopo La sedia della felicità avrei voluto continuare per sempre. La sua idea di cinema ha rianimato il mio entusiasmo ammaccato».
Il set è stato gioioso.
«Conservo cento scatti di me e Carlo sul set, lui ride sempre, “non sono i farmaci”, diceva. Entrambi abbiamo voluto bene al personaggio. Il tatuatore mi ricorda il punk decaduto di Non pensarci. Forse perché è una tipologia umana che mi somiglia, riesce a essere inadeguato in ogni situazione, con una sensibilità negata a se stesso che lo porta a figure di merda enormi. É vero, ho spesso incarnato personaggi di una certa classe sociale. E quando ho tentato altro, cercando di essere più “alto”, non so se ci sono riuscito».
Parla del commissario Calabresi in Romanzo di una strage
«Stare in scena è un mestiere e lo impari. Credo che la forza di un attore si misuri da come ti arriva uno sguardo, più che una battuta. E se negli occhi hai il principio attivo dell’empatia, se hai umanità la metti sempre, pure facendo Hitler. Una dote che è anche un grande limite. Scegliere ruoli complessi è uno stimolo alla crescita, ma a volte il muro lo prendi e magari ti fa anche bene».
Lei che film sta facendo?
«Un film particolare. Non reciterò, voglio concentrarmi sull’essenza del racconto. E se devo farlo usando una macchina fissa per cinque minuti lo farò, senza manierismi. Sento la necessità di esprimermi da un’altra angolazione».
Oggi si fanno solo film a bassissimo costo.
«Lo è anche il mio. Per essere realisti e non vedere la gente perdere casa, o pensare che un film sia una cosa che se sbagli hai finito la vita. La cosa più difficile è arrivare al pubblico. La mia classe di Daniele Gaglianone viene proiettato in tutte le scuole, in sala c’è stato a malapena».
Lei ha firmato l’appello No Tav, in solidarietà con i quattro attivisti arrestati con l’accusa di terrorismo.
«Mi sembra pericoloso applicare leggi esagerate o che non tengono conto del momento che viviamo. Punendo persone di vent’anni, che possono aver fatto una cazzata. Non è concepibile l’idea che qualcuno, per evasione fiscale, si faccia sette giorni di giardinaggio e un altro perché spacca una vetrina si fa, o comunque gli vengono chiesti, quindici anni».
Del momento politico, di Renzi premier, che pensa?
«Sono sempre stato convinto che votare fosse un diritto e un dovere. Dopo le ultime elezioni ho capovolto il pensiero. Credo che oggi sia un diritto anche non votare».
Non ha risposto su Renzi.
«A Renzi ho pensato solo durante la partita Fiorentina-Roma».