Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 26/4/2014, 26 aprile 2014
MILANO — C’è
un tassello fondamentale che ancora manca nell’architettura del patto di sindacato messo in piedi lo scorso 31 marzo dalla Fondazione Montepaschi con i fondi esteri Fintech Advisory e Btg Pactual: l’autorizzazione della Banca d’Italia all’acquisto del 6,5% di Mps da parte dell’hedge fund americano guidato dal finanziere messicano Daniel Martinez Guzman (il 4,5%) e dalla banca d’investimento brasiliana (il 2%) rappresentata da Andre Santos Esteves che ne è anche il principale azionista.
I tempi cominciano ad essere stretti: secondo gli accordi deve arrivare entro il 1 maggio l’ok della Vigilanza alla vendita da parte della Fondazione Mps e al contestuale patto di sindacato sul 9% tra gli acquirenti esteri e la Fondazione, che ha vincolato il suo 2,5% residuo nell’istituto di Rocca Salimbeni. In caso contrario il contratto si deve considerare risolto a meno che il termine non sia «conseguentemente posticipato, per iscritto, di comune accordo tra le parti». Insomma, i tempi che i tre soci si sono dati sono celeri perché è imminente una ricapitalizzazione (era ancora di «soli» 3 miliardi quando venne il contratto venne firmato mentre ora è stata elevata a 5 miliardi). Ma non c’è la volontà di mettere fretta all’autorità di vigilanza. Anche perché il caso che Bankitalia si trova ad affrontare è molto delicato.
È la prima volta che Palazzo Koch si trova ad esaminare un patto di sindacato che vincola una quota tutto sommato ridotta del capitale — il 9% — che però in una situazione di azionariato frastagliato come quella attuale di Montepaschi potrebbe determinare il controllo della banca. Non per nulla lo stesso patto di sindacato FMps-Fintech-Btg prevede la presentazione di una lista di candidati per il nuovo board della banca e anche la spartizione delle nomine: ai soci esteri l’indicazione dell’amministratore delegato, alla Fondazione senese quella del presidente. Subito dopo la firma del patto, Martinez Guzman e dirigenti di Btg sono stati ricevuti in Via Nazionale. E la Banca d’Italia ha anche chiesto informazioni sui fondi (struttura, solidità patrimoniale eccetera) alle autorità di vigilanza dei Paesi coinvolti, cioè la Sec negli Stati Uniti, dove Fintech ha sede legale, e il Banco central do Brasil, e sta valutando anche le caratteristiche di onorabilità dei vertici, secondo quando stabilito dalla testo unico bancario e dalle istruzioni di vigilanza. Ma sta anche lavorando per capire se nella circostanza specifica l’autorizzazione sia o meno necessaria.
Presso i fondi esteri si respira ottimismo sull’esito della verifica dell’autorità guidata da Ignazio Visco e anche disponibilità ad allungare il termine del 1 maggio, qualora servisse più tempo. Ma il patto va cambiato anche in un’altra clausola, ben più di sostanza: l’accordo sull’aumento di capitale.
Il contratto prevede espressamente che il vincolo a sottoscrivere la ricapitalizzazione fosse limitato all’operazione da 3 miliardi. Ora che i vertici della banca, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, hanno alzato l’asticella a 5 miliardi, il discorso cambia. La Fondazione presieduta da Antonella Mansi ha fatto sapere informalmente di essere pronta a sottoscrivere pro-quota, alzando il proprio impegno finanziario da 75 a 125 milioni di euro (può farlo perché ha in cassa circa 400 milioni). I due fondi avrebbero invece storto il naso: secondo fonti a conoscenza del dossier, sia Fintech Advisory sia Btg Pactual avevano sì messo in conto che — dopo l’aumento da 3 miliardi necessario per rimborsare i Monti bond — a un certo punto avrebbero potuto mettere sul piatto altri capitali; ma non che la richiesta sarebbe arrivata immediatamente dopo il loro ingresso nell’azionariato. La mossa di Profumo e Viola — dopo un calo iniziale del titolo — è stata apprezzata dal mercato ma ha spinto un socio forte come il colosso come BlackRock a quasi dimezzare la posizione, scendendo dal 5,7% al 3,2% del capitale. Ora anche Fintech e Btg starebbero valutando dal punto di vista finanziario la nuova situazione, anche se alla fine non dovrebbero esserci sorprese. Resta che il contratto con la Fondazione dovrà essere riscritto.
Fabrizio Massaro