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 2014  aprile 25 Venerdì calendario

SE PUTIN CONTINUA AD ALZARE LA POSTA


L’ultima volta che si aveva avuto notizia della Diplomazia era il 17 aprile, da Ginevra. Russi, americani, europei e ucraini di Kiev – si diceva – avevano trovato un accordo per raffreddare la situazione. Ci sarebbero state le elezioni del 25 maggio, i filo russi avrebbero abbandonato le loro posizioni e messo da parte le loro pretese. In cambio avrebbero avuto una nuova Ucraina federalista che avrebbe garantito la loro autonomia.
L’accordo, apparentemente equo, era il frutto di tante considerazioni. La più importante delle quali era la necessità di assecondare l’obiettivo della Russia, il partito più attivo e determinato in questa vicenda. Si dava cioè per scontato che l’ambizione di Vladimir Putin fosse la trasformazione dell’Ucraina da Stato centralizzato in federale. In questo nuovo assetto, ci sarebbe stata la garanzia di una forte autonomia delle regioni di lingua russa. Le loro radici e i loro legami con Velikaya Rossiya, la Grande Madre Russia, sarebbero stati riconosciuti.
Anche se non garantita da un negoziato, implicitamente la Diplomazia aveva precedentemente riconosciuto alla Russia i suoi diritti sulla Crimea: la brutalità di un’occupazione militare e di un’annessione tipo Europa del XIX secolo, era stata superata dall’ammissione che solo il caso della storia, un tratto arbitrario di penna, aveva tolto la penisola alla Grande Madre Russia. Tutto questo pensando di interpretare il disegno di Putin: i movimenti di truppe alle frontiere avevano per obiettivo la Crimea. Ottenutala, il presidente russo avrebbe permesso che la crisi ucraina tornasse nelle mani rassicuranti della Diplomazia.
Non era così. Il vertice di Ginevra e le sue decisioni erano un altro passo avanti rispetto a quello che noi pensavamo Putin volesse: dalla Crimea alla russificazione di altri e più vasti territori dell’Ucraina orientale. Tutto ora lascia credere che non fosse nemmeno questo l’obiettivo finale del presidente russo. Il comportamento sul campo degli ucraini di lingua russa immediatamente dopo Ginevra, dimostrava che anche la trattativa a quattro era superata poche ore dopo la sua conclusione.
Credere che i filo russi continuino a occupare strade e uffici pubblici, ad armarsi, ad usare la forza, a rivendicare un’indipendenza che a Ginevra non era stata presa in considerazione; credere cioè che stiano creando le condizioni per una riunificazione con la Russia contro la volontà di Mosca, è come pensare che il rapimento di Elena sia stata la causa della guerra di Troia. Putin ha il pieno controllo di quelle popolazioni: se lo volesse, potrebbe far smantellare le barricate di Sloviansk e rimandare tutti al lavoro, nell’attesa che il compromesso di Ginevra si realizzi. Invece fa il contrario: i russi di Ucraina sono sempre più determinati e dall’altra parte della frontiera i carri armati non smobilitano. È difficile pensare che sia per l’arrivo in Polonia di 600 parà americani che ieri i russi hanno ordinato altre manovre militari ai confini ucraini.
Perché la questione numero uno di questa crisi nel cuore dell’Europa è la stessa dal suo inizio: capire cosa vuole davvero Vladimir Putin. Ignorare quanto deciso a Ginevra con il concorso della stessa Russia, è come istigare il governo di Kiev a reagire militarmente. Forse non è l’autonomia ma l’annessione dell’Ucraina orientale l’ambizione del presidente russo. Forse di più: è la normalizzazione dell’intera Ucraina. Il suo progetto di spazio euro-asiatico senza l’Ucraina e con il solo Stato fantasma della Bielorussia, è una comunità russo-asiatica, privata della componente europea. Dove vorrà fermarsi dunque Vladimir Putin?

Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 25/4/2014