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 2014  aprile 25 Venerdì calendario

DA D’ALEMA A RENZI, COSTI E BENEFICI DELLA «CINGHIA» CON LA CGIL


Non è un amarcord da reduci, quello di Nicola Rossi e Tiziano Treu, ma piuttosto il bilancio di più di vent’anni di storia di quella cinghia di trasmissione tra partiti e sindacati che ancora oggi rimette sul tavolo riflessi condizionati e antiche ruggini. Nicola Rossi era con Massimo D’Alema quando l’ex premier tentò il primo, vero braccio di ferro con la Cgil di Sergio Cofferati; Tiziano Treu fu il ministro del lavoro che per primo – in un governo di sinistra guidato da Romano Prodi – introdusse le norme sulla flessibilità del lavoro. Insomma, di diktat e altolà se ne intendono – avendoli patiti e avendo anche perso – e guardando quello che accade oggi in Parlamento non trattengono le parole, come fa Treu che non vede alcuna somiglianza con la sua esperienza. «Ma insomma, quelle verso Poletti mi sembrano schermaglie! I sindacati sono in declino, non hanno la forza di vent’anni fa e nemmeno di dieci. È vero in Parlamento c’è un gruppo "ostile" a Poletti ma basta aspettare le elezioni e se Renzi vorrà sarà nelle piene condizioni di governare al di là della Cgil». In sostanza, la cinghia di trasmissione resiste in una parte del Pd, peraltro sconfitta alle ultime primarie, e dunque non può diventare un alibi per Matteo Renzi. «In alcun modo», ribatte Rossi, che racconta quei giorni di battaglie Ds-Cgil. «Non c’è paragone con ciò che tentò di fare D’Alema: a quel tempo il rapporto tra Cgil e sinistra era forte, era il suo elettorato di riferimento, la sua base ideologica. D’Alema provò a sfidare un tabù e l’intimidazione nei suoi confronti fu brutale. Renzi ha di fronte un sindacato e una politica molto più deboli».
L’attuale premier è senz’alibi quindi. Anche se quel riflesso condizionato tra partito e sindacato resiste ma per vie assolutamente diverse: è vero che il gruppo parlamentare portato da Pierluigi Bersani è ricco di ex sindacalisti, è vero che un nucleo ideologico resiste ma è vero che il rapporto è diventato più strumentale. In che senso? Basta guardare le primarie Pd: una parte del partito ha necessità di quella rete capillare e di elettori che provengono dal sindacato – e in particolare dal sindacato dei pensionati – che può assicurare una "spina dorsale" organizzativa che nel partito si è indebolita. «I costi sociali ed economici dei no sindacali sono stati alti ma ha pagato un prezzo anche la sinistra rinunciando a guidare il cambiamento di questi vent’anni che infatti vengono ricordati per Berlusconi», ribatte Rossi che fa un elenco di quei costi. «Comincerei dai no sulle pensioni che hanno avuto un costo enorme per lo Stato e per le giovani generazioni, accadde nel ’99 quando ero a Palazzo Chigi con D’Alema. Il sindacato giocò cinicamente sulla pelle dei giovani tutelando solo i suoi iscritti: questo è legittimo da un punto di vista della rappresentanza ma per la sinistra – che doveva dare una sua visione generale – è stata la sconfitta politica e culturale più cocente». Di pensioni si ricorda pure Treu. «La Cgil disse sì alla Dini ma a prezzo di una lunghissima transizione che ha avuto i costi finanziari che sappiamo. Per non parlare dell’abolizione dello "scalone" nel 2006: il costo fu di circa 10 miliardi ma poi c’è stata un’altra riforma».
La storia dei "no" è dunque una tela di Penelope, paletti messi e poi smontati a prezzo dei ritardi sul risanamento finanziario: infatti le riforme delle pensioni sono state almeno cinque. E a prezzo dell’inserimento dei giovani al lavoro perché prima della legge Treu c’era il tempo indeterminato o il lavoro nero. «Mi ricordo che la Cgil corresse norma dopo norma, fu un compromesso difficile ma meglio di niente. E infatti quei paletti della Cgil – dal lavoro temporaneo al tempo determinato – caddero negli anni successivi». Dunque vittorie in qualche caso brevi anche se una sconfitta brucia a Treu: «La bocciatura della riforma degli ammortizzatori universali fatta con Prodi e Onofri: a quel tempo la Cgil si coalizzò con Confindustria a tutela della Cig. E ora siamo ancora allo stesso punto. Quanto tempo perso». E, oggi, sul contratto a tempo determinato Treu parla di polemica strumentale. «In Germania il 60% delle assunzioni è a tempo determinato ma dopo un paio d’anni vengono stabilizzate perché l’economia funziona: è altrove che bisogna concentrarsi». E soprattutto c’è un "mestiere" che nessuno vuol fare. «Spiegare ai militanti la ragione del cambiamento senza dare deleghe in bianco al sindacato. È quello che non ha fatto la sinistra e dovrebbe iniziare a fare Renzi», suggerisce Rossi. Alla fine i costi sono caduti sugli outsider come le generazioni penalizzate dalla Dini mentre sul lavoro «qualcuno dovrebbe chiedere scusa ai tanti giovani che non hanno trovato lavoro dopo le rigidità imposte alla legge Fornero», dice Rossi. I benefici? Agli insider e ai loro numi tutelari nei sindacati e nei partiti.

Lina Palmerini, Il Sole 24 Ore 25/4/2014