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 2014  aprile 25 Venerdì calendario

IL DECRETO SVILUPPO ITALIA? INATTUATO DA 23 MESI


«Serve una lotta violenta contro la burocrazia». Mai prima di Matteo Renzi un premier italiano aveva pronunciato parole tanto nette sulla necessità di riformare la pubblica amministrazione. Segno che lo scollamento tra il comune sentimento dei cittadini e l’azione concreta della pubblica amministrazione ha raggiunto la soglia dell’insostenibilità.
Perché nelle opulente società postindustriali, condizionate dalla tecnologia che per la prima volta ha dato vita al primato del binomio Macchina-Uomo, le rivoluzioni non sono più innescate dalle diseguaglianze economiche o dalle ideologie, ma, più banalmente, dall’inefficienza amministrativa e dalla pressione fiscale eccessiva.
Ecco qualche caso aziendale da business school che può tornare utile a chi vuole studiare cosa trasforma una Pa dell’Eurozona in un’amministrazione da quinto mondo. Difficile capire come il decreto legge varato il 22 giugno 2012, dall’allora governo Monti su proposta dell’allora ministro Passera, denominato pomposamente dl Sviluppo Italia, possa essere ancora inattuato ben 23 mesi dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. La norma prevedeva un credito di imposta del 35% per le assunzioni a tempo indeterminato di dottori di ricerca o laureati specialistici in materie tecnico-scientifiche da impiegare in attività di ricerca.
Peccato, però, che sia in vigore soltanto sulla carta: dopo 23 mesi il ministero dello Sviluppo economico non ha ancora approvato il modulo utilizzabile da parte delle imprese per essere autorizzate ad assumere. E senza modulo gli effetti del decreto, ben 6 mila nuovi posti di lavoro all’anno, restano sulla carta.
E che dire dell’art. 31 del cosiddetto decreto del Fare del governo Letta, varato nel giugno del 2013, che per favorire l’erogazione di finanziamenti alle start-up e ai progetti di ricerca prevedeva una deroga importante per la Pa: andare avanti nel pagamento del finanziamento nonostante l’irregolarità del Durc sostituendosi, la singola amministrazione, all’Inps o all’Inail nel sanare l’eventuale irregolarità. Un anno dopo, la Pubblica amministrazione nei fatti non attua la norma, come certifica un bando recente a favore delle start-up di Sviluppo Lazio che pretende la regolarità del Durc per accedere al finanziamento.
Il 14 aprile scorso il ministero del Lavoro ha notificato una ingiunzione di pagamento di 398,19 euro perché il 2 agosto 2008, cioè 7 anni prima, il cambio di ragione sociale di una Srl è stato comunicato in ritardo all’Inail violando il Testo unico del 1965(!). Il cambio di ragione sociale si fa per atto pubblico notarile quindi l’Inail potrebbe autonomamente aggiornare il suo archivio dalle Camere di commercio. Invece, tutti gli oneri sono scaricati sui cittadini (anche quello di capire una comunicazione di sanzione scritta in un burocratese dell’800).
Tante storie diverse che certificano come, forse, oggi neppure la violenza del premier è più in grado di riportare la Pa nell’era contemporanea.

Edoardo Narduzzi, MilanoFinanza 25/4/2014