Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 25 Venerdì calendario

ALITALIA È IN RITARDO CON IL TAGLIO DEI COSTI


Ma Renzi che pensa? Ci sosterrà?» Fra i sindacati di quella che una volta era la compagnia di bandiera tricolore il riflesso condizionato è invincibile. Non sono bastati un fallimento pilotato e l’uscita dall’azienda di più di cinquemila persone per convincerli di quel che è oggi Alitalia. Né è bastato aver fatto scappare dal tavoli di trattativa ben tre compagnie aeree mondiali: Klm, Air France e per una frazione di secondo Lufthansa.
Le perplessità del quarto compratore – Etihad, forse l’ultimo prima del fallimento definitivo – sono le stesse che poche settimane fa hanno posto fine al tormentato fidanzamento con i francesi. Ecco un breve compendio dei problemi da risolvere: quasi quattrocento milioni di debiti non assistiti da garanzie reali, due pesanti contenziosi in corso con Carlo Toto e Windjet, la riduzione del personale necessaria a riportare la compagnia al pareggio, l’accordo per permettere agli arabi l’ingresso con una quota significativa in Aeroporti di Roma. Alla lista vanno aggiunte due postille delle quali si deve far carico il governo: garanzie sul rafforzamento di Linate – per loro Malpensa è un aeroporto troppo lontano – e sulla costruzione rapida dei collegamenti veloci dalle stazioni di Roma e Milano verso i due aeroporti. Non c’è capitale che non lo abbia. A noi, per nutrire la speranza di vederli realizzati, occorre contare sulla pressione degli investitori stranieri.
Dei contenziosi si faranno carico i vecchi azionisti, i quali hanno firmato una costosa assicurazione: in ballo ci sono – dicono alcune voci – ben più di duecento milioni di euro. Sui debiti c’è una dura trattativa con le banche azioniste e creditrici, le stesse che poche settimane fa trattavano con i francesi. Il problema più grosso è con Intesa Sanpaolo, che non ha nessuna voglia di trasformare in azioni i propri crediti e semmai vorrebbe cedere tutto. Su Linate e sui collegamenti il ministro Lupi promette di fare la sua parte, anche se per ora a parole. E infine il il problema sindacale. Etihad chiede di sacrificare altri tremila lavoratori, peccato ci sia un problema a monte: le sigle non hanno ancora garantito 48 milioni dei 128 di risparmi sul costo del lavoro frutto dell’accordo di «sopravvivenza» firmato con l’azienda subito dopo l’addio dei francesi.
L’ultima riunione fra le due parti è del 24 febbraio, come se Alitalia avesse ancora chissà quanto tempo a disposizione. Finora Etihad ha chiesto garanzie ai sindacati, i sindacati ad Etihad. «L’azienda non ci ha parlato di esuberi», garantisce Susanna Camusso. Ma una volta compreso che il numero uno James Hogan fa sul serio ed è pronto ad alzarsi dal tavolo, i sindacati hanno compreso che è inutile tirare la corda. Il nuovo incontro con l’azienda è fissato per martedì. «Se ognuno farà la sua parte l’accordo si farà», dice Marco Veneziani della Uil Trasporti. È lo stesso film che va in onda da ormai quindici anni. I sostenitori dell’accordo con gli arabi sperano sia l’ultima proiezione.
Twitter @alexbarbera

Alessandro Barbera, La Stampa 25/4/2014