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 2014  aprile 25 Venerdì calendario

LA DIFESA DE “LE IENE”: “ERANO SOLO NOTIZIE”


Sono stati tanti i servizi che Le Iene hanno mandato in onda nel 2013. Giulio Golia, l’inviato del programma in onda su Italia 1, ha incontrato i padri e le madri dei bambini affetti dalla Sma, la malattia delle cellule nervose delle corna anteriori del midollo spinale che limita o impedisce ogni attività, anche quelle più semplici come camminare. Ci sono stati decine di servizi sui casi dei malati, che sono costati al programma l’accusa di aver avvalorato un metodo come quello di Sta-mina che per la procura di Torino non è altro che il frutto di un’associazione a delinquere finalizzata alla truffa. “Siamo stati i primi a dire che Davide Vannoni era indagato”, ci tiene a precisare Davide Parenti, autore del programma televisivo, attaccato anche da Elena Cattaneo, scienziata e senatrice a vita. “Sul caso Stamina l’informazione-spettacolo è stata irresponsabile”, aveva detto la Cattaneo in una lettera inviata insieme ad altri due scienziati alla Stampa. “A nostro avviso – continua la senatrice – Le Iene hanno gravi colpe nell’avere concorso a costruire, insieme a Vannoni, l’ ‘inganno Stamina’. Con una responsabilità morale forse equivalente a quella dello ‘stregone di Moncalieri’ e con un impatto comunicativo sicuramente superiore a quello che ‘uno o più stregoni’ avrebbero mai potuto avere”. Accuse pesanti mosse a Davide Parenti, che, sentito dal Fatto , spiega: “Noi volevamo solo portare l’attenzione sulle famiglie. Abbiamo chiesto mille volte, anche alla Cattaneo di parlare con i parenti dei bambini malati. Nessuno lo ha fatto. La verità è che in Italia dei malati di Sma non frega nulla a nessuno”.
E così Davide Parenti difende a denti stretti i servizi di Giulio Golia che più volte hanno portato sullo schermo le scene dei bambini, che a detta dei genitori, dopo aver provato la cura a Brescia, facevano piccoli miglioramenti. É stata data voce anche ai medici che confermavano i miglioramenti dei bambini affetti dalla malattia. Come Gaetano Villanova, “massimo esperto in Italia di Sma uno, – dice Giulio Golia in un servizio del novembre scorso – e che al contrario degli esperti del comitato scientifico del ministero, ha visitato bambini prima, durante e dopo che si sono sottoposti alle infusioni e ne ha certificato i miglioramenti”. Molti servizi si concludevano quindi con un appello del genitore che chiedeva di autorizzare il metodo Stamina. Come il papà di Noemi, la piccola che le telecamere di Italia Uno hanno immortalato in udienza dal Papa. “Noi abbiamo presentato il ricorso che la legge può farci accedere (alle cure staminali, ndr) – ha dichiarato il padre della piccola al Papa – ma non ce lo permette. Padre se l’Italia condanna mia figlia voi, che siete il Vaticano, un altro Stato, datemela questa possibilità di fare le cellule staminali, perchè non deve?.” Appelli come questi sono costati alle Iene pesanti accuse. E su questo Davide Parenti precisa: “Non sappiamo se questa cura funzioni o meno, probabilmente no. Ma le famiglie che hanno usato questo metodo sono convinte che faccia bene ai loro figli. E queste famiglie non avevano altro che la speranza, perché per la Sma uno non c’è nulla da fare. O morire o provare a lottare”. E Parenti conclude: “Nessuno critica le indagini su Van-noni. Tutte le accuse contestategli riguardano un periodo che va dal 2007 al 2010. Noi ci siamo occupati delle cure compassionevole dal febbraio del 2013, perché abbiamo seguito la storia di un bambino siciliano, portato nell’ospedale di Brescia, dopo l’autorizzazione di un giudice. Non abbiamo fatto altro che raccontare le storie da parte delle famiglie. Devono riconoscerci il merito di aver fatto luce su una storia che ha portato al dibattito nazionale. E mi domando: perché l’Aifa ha fermato le cellule staminali da Brescia che andavano a Miami? Ci sarebbe costato solo 15 mila euro. Perché i giornali nazionali scrivono che ci sono stati 68 decessi, quando solo in 64 hanno avuto accesso a queste cure? E secondo me anche il ministro Lorenzin non dovrebbe fare altro che scusarsi.”

Valeria Pacelli, Il Fatto Quotidiano 25/4/2014