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 2014  aprile 25 Venerdì calendario

I LATI DEBOLI DELLA MANOVRA


È una manovra di taglio delle tasse e delle spese, oppure di aumento delle spese e dunque delle tasse. L’operazione sul bonus da 80 euro al mese genera letture diverse.
Tutto dipende da come la si guarda e da chi la giudica, e questo aiuta a capire la linea scelta ieri da Giorgio Napolitano.
Ieri il presidente della Repubblica ha firmato il decreto del governo, ma prima ha chiesto «ulteriori chiarimenti » a Pier Carlo Padoan. Il ministro dell’Economia è salito al Colle in giornata e li ha forniti. Ma più ancora di ciò che i due si sono detti, resta la sequenza scandita dal capo dello Stato. Non si è limitato a firmare: prima ha cercato di capirci di più e ha tenuto a far sapere pubblicamente di aver avvertito questa esigenza. Solo dopo un intervallo di un paio d’ore il Quirinale ha comunicato anche che il presidente aveva messo la firma sul provvedimento.
Nel merito, tre aspetti della manovra primaverile del governo di Matteo Renzi restano da chiarire. Il primo riguarda la natura del bonus, il secondo quella dei tagli di spesa, il terzo la tenuta dei ricavi da circa un miliardo dalla rivalutazione del capitale della Banca d’Italia. A una seconda occhiata più attenta, alcuni osservatori notano infatti incognite e buchi che minacciano di allargarsi nella rete del decreto. Incerto è per esempio se quella sul bonus da 80 euro sia effettivamente un’operazione di taglio delle tasse, in particolare l’Irpef, o al contrario di aumento della spesa pubblica. Il pacchetto è stato sempre presentato da Renzi come la limatura di un’imposta per certe fasce di reddito, ma la relazione tecnica del provvedimento stesso smentisce in parte il premier che l’ha voluto. Quel testo non esclude, infatti, che «una parte degli sgravi possa essere contabilizzata dal lato della spesa».
Che significa? Poiché non è possibile ridurre l’aliquota Irpef solo sui dipendenti e non sugli autonomi che guadagnano altrettanto, ai beneficiari della misura sarà dato un bonus. Circa 80 euro in più in busta paga, per ora solo per i sette mesi finali del 2014. In altri termini, questo sembra essere denaro in uscita dall’erario a favore di alcuni contribuenti e non un vero e proprio taglio delle tasse. Se fosse vero, nell’anno della spending review sarebbe dunque passato un provvedimento in senso opposto: più spesa pubblica, non di meno.
Restano poi partite aperte anche sul fronte delle coperture al bilancio pubblico. Il governo Renzi in particolare si era impegnato a tagli di spesa e li ha proposti: il cuore di questa voce sono 2,1 miliardi di euro di riduzione dei costi di fornitura di beni e servizi alle amministrazioni. Si tratta per esempio di pagare apparecchiature mediche ai migliori costi sul mercato e non tre o quattro volte di più, arricchendo i soliti «imprenditori » legati alla politica e al voto di scambio.
Il problema è che, quanto a questo obiettivo, il governo non ha trovato finora la forza politica di andare avanti. Tutte le proposte in proposito del ministero dell’Economia sono state defalcate dalla lista dei tagli. Per adesso la via d’uscita è stata una sorta di delega agli enti locali — comuni, provincie e regioni — perché trovino essi stessi i tagli necessari entro due mesi. in caso contrario, il governo interverrà d’autorità.
E’ possibile che questo ingranaggio funzioni, ma non è certo. Per adesso molte giunte locali hanno risposto che non esistono tagli possibili nei loro bilanci: i governatori e i sindaci non vogliono prendersi le responsabilità di cui il governo per ora si è disfatto, trasferendola sulle loro spalle. Renzi fra due mesi potrebbe dunque imporre lui stesso dei tagli agli enti, ma a quel punto si tratterebbe quasi certamente di una sforbiciata «lineare». Si chiama così quando il colpo di falce blocca tutti trasferimenti di fondi, non le funzioni che essi assicurano. In casi del genere, frequenti negli anni del centrodestra, la Ragioneria ha già mostrato le conseguenze: le amministrazioni continuano a spendere soldi che non hanno, contraendo debiti fuori bilancio. Ne ha persino il ministero dell’Interno per immobili nei quali continua a stare in affitto.
L’ultimo punto riguarda invece il capitale Banca d’Italia: aumentare le tasse sulle plusvalenze degli istituti azionisti ha già sollevato le proteste dell’Associazione bancaria italiana. I suoi legali ora studieranno il decreto sul bonus con la lente d’ingrandimento.

Federico Fubini, la Repubblica 25/4/2014