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 2014  aprile 25 Venerdì calendario

KOVACIC: «INTER, VOGLIO GIOCO E TOP PLAYER»

L’apparenza inganna davvero. Soprattutto con Mateo Kovacic. Occhi acquosi, sguardo perso, fare compassato. Ti verrebbe da pensare che questo 19enne croato non sia l’emblema della reattività. E proprio lì lui inizia a fregarti. Perché come in campo sa lasciare sul posto l’avversario e dare quelle sgasate che tanto servono all’Inter, così in un’intervista si rivela sveglissimo, coraggioso. E critico. Con se stesso, ma non solo. E alla fine capisci che vede la risposta molto meglio che la porta. Anche se il ragazzo sta lavorando pure su questo aspetto.
Mateo Kovacic, come si sta dopo aver giocato le prime due gare di fila da titolare?
«Molto meglio. Se gioco dall’inizio non devo strafare come capita quando entro dalla panchina. Ora che ho la maglia, non la mollo più».
Un caso che col suo ritorno siano arrivate due vittorie consecutive?
«Sì, abbiamo anche avuto un po’ di fortuna. Né a Genova né a Parma abbiamo giocato molto bene. Possiamo e dobbiamo fare meglio».
Anche perché arrivano tre gare difficili a San Siro, dove state facendo meno bene che in trasferta.
«Vero. E non è facile capire il perché. Credo ci sia una somma di fattori. Forse in casa sentiamo di più la pressione, poi in alcune occasioni siamo stati sfortunati. Senza dimenticare che qui in Italia le squadre si chiudono tanto».
Ma questo succede contro tutte le grandi. E anche quando passate in vantaggio e dovreste trovare più spazio fate molta fatica.
«Infatti il vero problema è il gioco. Non rendiamo per quello che potremmo, fatichiamo a portare palla, troppo spesso la lanciamo subito agli attaccanti. Contro il Napoli dobbiamo ripartire anche sul piano del gioco».
Se non altro, quella di Benitez non è una squadra che si chiude.
«Di Napoli e del Napoli mi piacciono tante cose. A cominciare dall’atmosfera del San Paolo. La squadra è fortissima davanti, anche se in difesa spesso concede qualcosa. E noi abbiamo dimostrato di rendere di più contro le grandi».
Quindi il calendario vi dà una mano, visto che dopo c’è la sfida con il Milan.
«Sono in forma, hanno infilato cinque vittorie consecutive. Ma sappiamo come batterli. È già successo all’andata...».
A guardare la classifica, l’altra rivale per il quinto posto è il Parma. Però nessuno ne parla.
«E non capisco perché, visto che la squadra di Donadoni gioca un ottimo calcio. Migliore di quello del Milan».
Un vantaggio che i rossoneri giochino a Roma il giorno prima di voi?
«Guarderemo la partita in ritiro, ma l’unica cosa che conta davvero è battere il Napoli».
Torniamo alla squadra di Benitez. Di fatto certa del terzo posto e con la finale di Coppa la prossima settimana, potrebbe venire a San Siro con la testa altrove?
«Lo escludo. Hanno una mentalità per cui non mollano nulla».
Voi in compenso avete mollato tanti punti per strada. Battendo il Napoli sarebbe più la gioia per un quinto posto quasi certo o il rimpianto per una qualificazione Champions che non era così impossibile?
«Inutile guardarsi indietro, ma di certo abbiamo sprecato tante occasioni».
Come si colma il gap con le prime, per tornare in Champions l’anno prossimo?
«Prendendo un top player».
Lei preferirebbe Dzeko, Morata e Torres?
«Dzeko. Fortissimo tecnicamente, fa gol e aiuta la squadra difendendo il pallone alla grande».
Al Napoli invece chi toglierebbe?
«Là davanti mi piacciono tutti. Ma la sorpresa è Mertens. Giocatore completo, ha un grande tiro e vede bene la porta».
Quello che rimane un tasto dolente per lei...
«Questo benedetto primo gol con la maglia dell’Inter mi manca, inutile negarlo. Ma non deve diventare un’ossessione. Sin da bambino sono stato abituato a saltare l’uomo e a cercare un compagno smarcato, ma non la porta. Sto lavorando molto su questo aspetto, faccio degli allenamenti specifici con Beppe Baresi».
Che cosa sarebbe disposto a fare dopo un gol?
«Niente di speciale, magari per l’emozione muoio...» ride.
Meglio segnarlo al Napoli o al Milan?
«Al Milan».
Firmerebbe per una sconfitta nel derby e per la qualificazione diretta all’Europa League?
«Non ha un’altra domanda...?».
Firmerebbe per una sconfitta nel derby e per la qualificazione diretta all’Europa League, ma col Milan che arriva settimo?
«Così si può fare...».
Torniamo a lei. Nelle sue difficoltà hanno pesato di più i 15 milioni spesi per prenderla o l’infortunio durante il ritiro di Pinzolo?
«Di quanto sono costato mi interessa poco, penso soltanto a dare il meglio in campo. Quello stupido infortunio invece ha cambiato tante cose. Per Mazzarri ero un titolare, ma essere stato fermo a lungo proprio quando c’era da assimilare le sue idee tattiche ha cambiato tutto».
Crede di essere tornato titolare più per quell’errore di Guarin a Livorno o per il calo di rendimento di Alvarez?
«Semplicemente perché ho lavorato duro, aspettando la mia occasione. Ho fatto alcuni allenamenti anche nei giorni di riposo perché se non giochi una partita vera la condizione rischia di calare».
Prima di Genova, l’ultima da titolare l’aveva giocata con la Juve, a inizio febbraio. Non certo l’occasione ideale per rilanciare un giovane.
«Io voglio giocare sempre, non importa contro chi. Premesso che sul primo gol avevo davvero sbagliato io, Mazzarri non ha mai accusato me come ho letto, ma l’atteggiamento della squadra».
Mai avuto nessun problema con il mister?
«No. È chiaro che quando stai in panchina non puoi essere felicissimo, ma lui voleva che lavorassi sulla fase di non possesso e sul mio posizionamento in campo. In Croazia non mi hanno mai insegnato certe cose. Con Mazzarri abbiamo avuto dei colloqui ogni 20 giorni».
E uno immortalato dalle telecamere dopo Sampdoria-Inter. Che cosa le ha detto?
«Che era soddisfatto di come avevo gestito il pallone, ma che c’è ancora da migliorare sulle cose che dicevo prima. Prima della Samp mi aveva detto che toccava a me e che se facevo bene non sarei più uscito».
Che cosa le chiede ora il tecnico?
«Di fare l’interno sinistro quando la palla ce l’hanno i nostri avversari e di trovare la posizione un po’ più avanzata quando attacchiamo, in modo da potermi girare e puntare avversario e porta. Il problema è che in Italia ci sono sempre pochi spazi e che...».
E che...?
«Che spesso devo arretrare per prendermi il pallone perché la manovra non è fluida e tendiamo a nasconderci quando si tratta di impostare l’azione. Ma siamo giocatori dell’Inter e dobbiamo cambiare questo atteggiamento».
Forse anche il suo atteggiamento sul rigore di Cassano a Parma non era ideale, visto che si vedono Cambiasso e Palacio pronti ad andare sulla respinta di Handanovic, mentre lei se ne sta con le braccia lungo i fianchi.
«Io ho sbagliato, tanto che poi Parolo per poco non segnava in tap-in. Ma ero molto fiducioso perché Samir è un grande e avevamo appena studiato al computer le abitudini dal dischetto di Cassano. Sapevamo che tira quasi sempre forte e alla destra del portiere».
Avete studiato anche Higuain?
«Va chiesto a Samir. Ha ricevuto qualche critica, ma tutti hanno alti e bassi. E’ un grande professionista, da lui c’è solo da imparare».
Le voci di mercato.
«Sto benissimo qui, penso solo alle ultime 4 gare e al Mondiale».
Ci risulta che a Hernanes piaccia giocare insieme a lei.
«Anche io lo stimo molto, ama giocare la palla, fare gli uno due, verticalizzare. E batte benissimo i calci da fermo».
Per far segnare i difensori. Ma col Napoli dietro sarà emergenza per le assenze di Juan, Rolando e Samuel.
«Nessun problema, chi andrà in campo darà il massimo. A cominciare da Andreolli. Un altro che ha aspettato a lungo la sua occasione».
Tre curiosità finali. Dove e con chi vive?
«A Milano. La fidanzata purtroppo studia ancora in patria, ma con me c’è Luka, amico croato e tuttofare. Cucina e mi porta in giro, visto che non ho ancora la patente».
Nell’era dei social network, lei è fuori dai radar.
«Non mi è mai piaciuto mettere in piazza gli affari miei. Forse aprirò un profilo su Instagram, ma non posterò tante cose».
Che cosa pensa fogo del suo connazionale Livaja, che ha litigato con i tifosi dell’Atalanta scritto su facebook “italiani bastardi”?
«Marko Livaja è un bravo ragazzo oltre che un grande attaccante. Ma spesso non pensa a quello che fa».