Antonio Castro, Libero 25/4/2014, 25 aprile 2014
MANNAIA ALITALIA SU BANCHE E LAVORO
La partita “emozionale” su Alitalia si gioca ora sul costo del lavoro, ma il piatto forte è il “sacrificio” che dovranno fare le banche azioniste (Intesa e Unicredit), e la determinazione del governo a porre mano al portafoglio per integrare la dote di questa ancella con le ali un po’ malmessa ma molto appetibile. Considerando che Etihad è l’unico pretendente, alla Magliana sanno bene che dovranno ingoiare tutto il possibile prima di finire con i libri in tribunale, dichiarare fallimento, mettere tutti in Cassintegrazione, congelare i debiti e farsi poi sbranare morso dopo morso in procedura. Lo scenario che si prospetta per l’ex compagnia di bandiera è più o meno questo. La condizione migliore per trattare per James Hogan, ceo di Etihad; la condizione peggiore per dipendenti, azionisti e politici (dal presidente del Consiglio in giù).
Partiamo dai tagli al costo del lavoro. Che si tradurrà in un ulteriore riduzione degli organici. Secondo quanto spiegano dalla Magliana, l’ad Gabriele Del Torchio ha convocato per martedì 29 i rappresentanti di piloti, personale viaggiante, di terra e assistenza. Intorno a quel tavolo spinoso si discuterà su come ridurre il costo del lavoro. In meno di 60 giorni è la seconda volta (la prima a metà febbraio) , che si cercherà di limare gli oneri. A febbraio si erano grattati via adoperando Cig a rotazione e contratti di solidarietà circa 80 milioni. Ma per soddisfare gli emiri serve di più dei 40 milioni di risparmi ipotizzati a febbraio. I 128 milioni di risparmio (già tanti) chiesti ai sindacati a inizio anno non bastano più Il problema è che Etihad vuole maggiore flessibilità contrattuale sul personale viaggiante (disponibilità a trasferirsi e a operare su nuove rotte), ricontrattualizzare il personale (risparmiando sul costo del lavoro e sulle tasse italiane), e non caricarsi l’incognita di una gatta da pelare solo posticipata di qualche anno (la durata degli ammortizzatori sociali). Il governo (Maurizio Lupi) ha già assicurato che «farà la sua parte», idem Renzi. A inizio anno l’ex ministro Flavio Zanonato aveva staccato un assegno da 24 milioni di euro per finanziare la decontribuzione previdenziale sul 50% dell’indennità di volo del personale navigante. In sostanza, i piloti perdono poco in busta paga, ma gli oneri previdenziali vengono coperti dal ministero. Una barocca alchimia contabile che gli emiri non vogliono reiterare. Sempre che come nel 2008 non salti fuori la presa in carico del personale in eccesso (2.600/3mila persone), da un piano straordinario di lungo prepensionamento (allora fu per 7 anni). Dal costo solo ipotizzato per le casse pubbliche di almeno 3 miliardi. Ipotesi surreale da riproporre nelle condizioni attuali.
Gli altri paletti posti dalla compagnia del Golfo sono più gestibili: un accordo sulle rotte, sull’utilizzo di Fiumicino e Linate, un potenziamento dei collegamenti ferroviari da e per Roma ( in connessione con l’alta velocità tra le due metropoli). E poi ci sono le banche. Unicredit viaggia in immersione. Il secondo azionista della banca è un fondo emiratino (Aabar), quindi c’è poco da lamentarsi. Intesa vorrebbe evitare di reinvestire altri quattrini. Ma l’ipotesi di perdere tutto l’investimento probabilmente porterà a più miti consigli. Gli emiri hanno tutto il tempo, Alitalia no.