Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 25 Venerdì calendario

PER TROVARE GLI 80 € SPUNTANO I TAGLI LINEARI


A quasi una settimana dal varo del decreto legge sugli 80 euro, Giorgio Napolitano ha perso la pazienza. Ieri mattina ha convocato al Quirinale il ministro dell’Economia Padoan ottenendo quei chiarimenti sulla relazione tecnica che non erano stati forniti in modo esauriente per iscritto nei giorni precedenti. Visto che su alcune parti della relazione tecnica del decreto non c’era la bollinatura ufficiale della Ragioneria generale dello Stato, il Quirinale non era disposto ad apporre sul testo la propria firma senza rassicurazioni. Il primo braccio di ferro con il Colle dell’era Renzi. Da anni Napolitano pretende di vedere in anticipo i testi di ogni manovra economica per farli esaminare al suo staff. Ma al Quirinale questa volta sono arrivate bozze poi rivelatesi inattendibili.
Sul decreto degli 80 euro infatti si è svolta una battaglia poco visibile, ma molto dura, fra il premier, la struttura tecnica del ministero dell’Economia e i dipartimenti legislativi di palazzo Chigi e di altri ministeri. Renzi aveva dato le sue disposizioni, ma i testi portati dagli sherpa per essere assemblati nel pre-consiglio dei ministri erano diversi dai desiderata del premier. E anzi in alcuni passaggi disseminavano vere e proprie trappole tecniche che avrebbero rischiato di trasformarsi in buccia di banana politica. Il presidente del Consiglio ha ingaggiato uno scontro con la tecno-struttura di governo. L’ha avuta vinta su molte parti fatte cambiare il giorno del consiglio dei ministri. Nei giorni successivi il testo è stato in larga parte riscritto, amputato di nuove trappole saltate all’occhio, arricchito di passaggi non previsti. La documentazione arrivata al Quirinale era dunque inutile. Per questo anche alcune parti vistate dalla Ragioneria generale dello Stato sono saltate e divenute inutili (in particolare le clausole di salvaguardia che erano state proposte dai tecnici per le coperture ritenute più ballerine). È stato quel frontale con la Ragioneria a provocare alla fine l’irritazione di Napolitano.
Quel braccio di ferro fra politici e tecnici non è una novità. Ma il contrasto si è acuito nell’ultimo anno, quando l’ex ministro dell’Economia Saccomanni ha deciso di mettere alla guida della Ragioneria un alto dirigente della Banca d’Italia, Daniele Franco. Non è stato un innesto facile, anche se un po’ di squadra il nuovo ragioniere generale se l’è costruita. In questi mesi più volte è apparsa l’esistenza di una doppia ragioneria, con l’ossatura ancora composta dalla squadra di Mario Canzio felpatamente contrapposta agli «invasori di Bankitalia». Prendere di punta la Ragioneria come ha fatto Renzi, anche con velate minacce alla tecnostruttura, avrebbe sicuramente scoperto qualche fianco istituzionale. Ed è quello che è avvenuto con la manovra economica e l’incidente più che diplomatico con il Quirinale. Dalla Ragioneria non si sa da quale dei due fronti è partito un appunto riservato per il Colle con molti dubbi e perplessità su entrambi i fronti della manovra: le coperture fiscali e quelle di riduzione della spesa pubblica. Nulla di istituzionalmente improprio, perché Napolitano è garante della Costituzione e ormai uno degli articoli che pesa di più su cui più è necessario fare la guardia è l’81, che imporrebbe da quest’anno quel pareggio di bilancio che invece il governo ha scelto di rinviare. I dubbi espressi dal presidente della Repubblica al ministro dell’Economia erano due: una sovrastima delle entrate per l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie rispetto a precedenti relazioni tecniche della Ragioneria generale dello Stato. E il meccanismo non chiarissimo dei tagli alla spesa in acquisto di beni e servizi di ministeri, Regioni ed enti locali. Due misure che nel 2014 valgono ben più di metà della manovra finanziaria varata. Padoan ha difeso da un lato la stima delle entrate sui capital gain, ricordando come quasi un terzo delle entrate previste arrivino da conti correnti e depositi bancari e postali (che invece nel 2011 videro diminuire la tassazione dal 27 al 20%). Sui tagli alla spesa il ministro dell’Economia ha rassicurato il capo dello Stato, spiegando che, anche se non scritta in modo impeccabile, nella manovra è prevista una sostanziale clausola di salvaguardia. I 2,1 miliardi previsti arriveranno comunque fra 30 (nel caso dei ministeri) o 60 giorni (per Regioni ed Enti locali) attraverso il classico meccanismo dei tagli lineari: la sforbiciata arriverà comunque dall’Economia. A quel punto Napolitano, rassicurato, ha firmato il decreto.