Raffaele Niri, il Venerdì di Repubblica 18/4/2014, 18 aprile 2014
MENO GRASSA E PIÙ SOSTENIBILE ELOGIO DELLA FETTINA
La contraddizione, almeno apparentemente, è clamorosa: siamo uno dei popoli più longevi del mondo e tra i più grandi consumatori di carne in Europa. Ne mangiamo 110 grammi al giorno, appena 30 in meno della quantità media di consumo suggerita dalle linee guida nutrizionali dell’Inran (che è l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione).
Crisi o non crisi, la carne bovina è consumata da quasi il 70 per cento degli italiani (57 grammi giornalieri pro-capite, dicono le medie). Tradotto: la carne rossa è, dopo i derivati del latte, la fonte di proteine animali preferita dai consumatori italiani, e il suo utilizzo è pressoché uniforme in tutta la popolazione. E i bambini obesi? E gli americani grassi e carnivori? E le diete assolutamente vegetariane? «Al top dei fattori di rischio obesità – spiega uno studio del giugno scorso redatto dall’Oms, l’organizzazione mondiale della sanità – ci sono i prodotti maggiormente reclamizzati, ricchi di grassi, zuccheri e sale: le bibite soft-drink, cereali zuccherati per colazione, biscotti, snack, dolciumi, piatti pronti e menu dei fast food». E la tanto vituperata fettina? «Grazie alla sapiente selezione della specie da parte degli allevatori e all’attenzione alla qualità dell’alimentazione animale, la carne bovina ha visto una forte riduzione del contenuto dei grassi».
E con l’ambiente come la mettiamo? A dimostrare in modo scientifico che le proteine di origine animale sono (per chilogrammo) più impattanti di quelle vegetali ci ha pensato la Doppia Piramide del Barilla Center for Food & Nutrition. La prima piramide raffigura le quantità settimanali di alimento consigliate per mantenere una dieta equilibrata, la seconda riporta gli impatti ambientali causati da un chilogrammo di quel determinato alimento. Serviva – per chi è roso dai sensi di colpa – un calcolatore di impatto ambientale: lo ha realizzato (e reso disponibile sul proprio sito web) Coop Italia, dimostrando che «se si segue una dieta corretta ed equilibrata, la nostra spesa avrà anche un impatto ambientalmente sostenibile».
Le filiere di produzione alimentari, negli ultimi anni, sono state sottoposte a un crescente interesse, sia per l’importanza dedicata alla qualità e alla sicurezza del cibo, sia in relazione agli aspetti ambientali direttamente generati. «Abbiamo deciso di studiare una delle filiere più importanti, quella della carne bovina, in modo da valutare gli impatti ambientali e la possibilità di miglioramento » spiega Claudio Mazzini, responsabile innovazione, sostenibilità e valori di Coop Italia. «Prima abbiamo coinvolto i nostri produttori per condividere consapevolezza e margini di miglioramento. Poi, l’anno scorso, primi al mondo, siamo riusciti a farci certificare gli impatti ambientali della filiera di produzione. Del resto, già dalla fine degli anni 80, avevamo deciso di impostare le nostre produzioni primarie (carne, ortofrutta, uova, latte) secondo una struttura “di filiera” passando così dal ruolo di “acquirente” a quello di “coordinatore e supervisore” di tutte le fasi del ciclo produttivo: dalla coltivazione o l’allevamento degli animali, passando per tutte le fasi intermedie di lavorazione, fino ai trasporti e alla vendita finale del prodotto». La filiera delle carni bovine in Italia è molto articolata: oltre sessantamila aziende, 2.200 imprese di macellazione, per un patrimonio nazionale bovino di più di sei milioni di capi. Partire dal benessere del popolo delle mucche significa dunque difendere quel che poi finisce nel nostro piatto.
Raffaele Niri, il Venerdì di Repubblica 18/4/2014