Francesco Erbani, la Repubblica 22/4/2014, 22 aprile 2014
DA BRADBURY AI SENZATETTO LA BIBLIOTECA SVELA CHI SIAMO
Se non ci fosse stata una biblioteca, la British Library, Karl Marx non avrebbe avuto un luogo dove comporre Il capitale. E senza la biblioteca dell’università della California a Los Angeles, Ray Bradbury, povero in canna, non avrebbe potuto affittare una macchina da scrivere per tracciare l’apologia del leggere in Fahrenheit 4-51. Lo racconta Antonella Agnoli in La biblioteca che vorrei (Editrice Bibliografica), un libro in cui l’edificio non è solo dove si conservano e si distribuiscono volumi. È tante altre cose. Deve essere tante altre cose, insiste Agnoli. Per esempio è un luogo di eguaglianza. Citando due autori che descrivono la biblioteca del Centre Pompidou a Parigi, Agnoli spiega come in quegli spazi le persone in difficoltà si accomodano liberamente, si fondono nell’anonimato dei lettori, mentre quando si rivolgono ai servizi sociali vengono subito identificate come “poveri”.
D’altronde i servizi sociali danno assistenza: ma perché mai non possono fornire aiuto anche le biblioteche? E in effetti in Europa il 4 per cento della popolazione adulta usa la biblioteca per accedere, tramite internet, ad alcuni servizi come cercare un lavoro o chiedere un sussidio. Troppo poco il 4 per cento? «Per niente », replica Agnoli, già autrice di Le piazze del sapere e Caro sindaco, parliamo di biblioteche , «è una percentuale sull’intera popolazione che va in biblioteca, ma riguarda evidentemente immigrati, persone senza dimora fissa, sfrattati. E non è casuale che siano italiani, spagnoli e greci ad andare di più in biblioteca per questo motivo. In Italia sono circa un milione. E potrebbero essere in numero superiore se le nostre biblioteche si prodigassero, ad esempio, nel formare all’uso del computer e della rete».
Le biblioteche come luogo che stimola la competenza informatica, avvicina alla rete, ma che in fondo è alternativa alla socialità offerta dal web. Agnoli la vede come una piazza con una serie di “sottospazi” «che ad alcuni propongono il silenzio, la concentrazione e la solitudine, ad altri la convivialità ». Di più: è una specie di città «che, come dice uno studioso francese, realizza un modello particolarmente contemporaneo di ciò che può essere uno spazio pubblico».
Agnoli ha lavorato a lungo nelle biblioteche pubbliche. A Pesaro ha contribuito a rifondarne una, la San Giovanni, che è diventata esemplare per le tante attività che si svolgono e che sono il prodotto di una intensa partecipazione dei cittadini alle scelte di progettazione. Da Pesaro si è spostata a Spinea, in Veneto, poi a Cinisello Balsamo, alla Sala Borsa di Bologna, quindi è scesa a Palermo, dove ha sostenuto la biblioteca delle Balate di Donatella Natoli, luogo d’incanto per i bambini del quartiere Albergheria. Gira continuamente l’Italia e collabora con architetti e amministrazioni locali. In fondo attrezzare una biblioteca chiama in causa competenze urbanistiche, che a loro volta si interrogano sul tessuto sociale circostante, sull’età, sui bisogni, sugli stili di vita, sulle sofferenze dei possibili utenti.
«Abbiamo bisogno di biblioteche capaci di svolgere un ruolo di coesione territoriale, sociale e culturale», dice. Ancora Parigi, biblioteca del Centre Pompidou: un pensionato molto sveglio, frequentatore abituale dei servizi internet, si è inventato un servizio di custodia per i senzacasa — Mains libres, l’ha chiamato, mani libere — i quali gli affidano i pochi oggetti che possiedono, la coperta, un carrello, un paio di scarpe, e che faticano a trascinarsi dietro durante la giornata. La biblioteca offre un locale-deposito.
In tutto il mondo si continuano a costruire biblioteche. Nel 2013 se ne sono inaugurate a Baghdad, a Birmingham, a Vienna (quest’ultima disegnata da Zaha Hadid). E dal 2015 al 2018 tante apriranno in Danimarca, a Caen in Francia (su progetto di Rem Koolhaas), a Helsinki. E in Italia? Se ne costruiscono meno, ma molte vengono ristrutturate. Nuovi spazi sorgono a Melzo, Chivasso, Firenze, Greve in Chianti, Pisa, Suzzara. La storica Malatestiana di Cesena si è ingrandita, mentre a Cinisello Balsamo, dove tramonta il sogno industriale, si sono investiti 12 milioni per realizzare un museo, una villa con un grande parco e una biblioteca di quasi 7 mila metri quadrati, una delle più grandi in rapporto alla popolazione residente.
Dunque anche in Italia qualche segnale incoraggiante si intravede, nonostante i dati sulla lettura certificati dall’Istat ci inchiodino a quel 43 per cento che nell’arco di un anno ha letto almeno un libro (a fronte di un 57 che non ne ha letto neanche uno). Ma, insiste Agnoli, va cambiato il punto di vista: «Queste cifre sono vere e mortificanti: ma quanti sanno, per esempio, che il 76,5 per cento delle badanti che lavorano in Italia legge abitualmente? E che, a fronte del 13 per cento di italiani che leggono almeno un libro al mese, fra le badanti la percentuale sale al 32? E poi: che cosa intendiamo per libro? Io penso che molte donne che acquistano e consultano un ricettario di cucina, alla domanda se hanno letto almeno un libro rispondono di no. Non sarò certo io a sostenere che l’Italia è un paese di lettori. Ma dobbiamo rivalutare certe forme di sapere “non libresco”, molto più preziose del “lettore forte” che va in libreria per comprare i romanzi entrati in finale al Campiello o allo Strega». Che cosa c’entrino le biblioteche in questo ragionamento, per Agnoli, è presto detto: «Un luogo pubblico dove, accanto alla custodia e alla distribuzione di libri, si facciano corsi di giardinaggio e si recuperi la dimensione manuale della vita, come insegna Richard Sennett, è un luogo di circolazione dei saperi. Questo accade regolarmente nei paesi scandinavi o negli Stati Uniti, dove gruppi spontanei si danno appuntamento per corsi di falegnameria».
Alla base di ogni biblioteca dev’esserci dunque un progetto culturale e sociale, architettonico e urbanistico. E per gestirla non possono valere le regole da vecchio pubblico impiego. Gli orari devono essere flessibili e accordarsi con i tempi della potenziale utenza. La segnaletica deve essere chiara: meglio scrivere giornali e riviste che emeroteca. Le procedure burocratiche vanno ridotte al minimo indispensabile. Bisogna incentivare autoprestiti e autorestituzioni. Conclude Agnoli: «In Italia abbiamo a monte un problema: non ci rendiamo conto che le biblioteche sono una componente essenziale dell’ecosistema culturale e che questo ecosistema sta morendo per le sciagurate politiche dell’ultimo quarto di secolo. Abbiamo toccato il fondo, questo è il momento in cui l’ottimismo della volontà è obbligatorio».
Francesco Erbani, la Repubblica 22/4/2014