Federico Rampini, la Repubblica 22/4/2014, 22 aprile 2014
FUORI DAL TUNNEL DA 5 ANNI MA LA RIPRESA USA È “DEBOLE” DISOCCUPATI RECORD AL 6,7%
NEW YORK.
La ripresa americana macina i record: con 58 mesi di durata, la sua lunghezza è già eccezionale. Il dato sottolinea la disparità con l’eurozona dove al contrario è stata la recessione ad avere una lunghezza anomala. Il National Bureau of Economic Research, l’arbitro supremo sulle statistiche della crescita, ha datato al giugno 2009 il momento della svolta, quando l’economia americana ha smesso di impoverirsi e ha ritrovato il sentiero dello sviluppo. 58 mesi sono passati da allora, e questo colloca l’attuale ripresa tra le più lunghe del dopoguerra. Poiché non c’è alcun rallentamento all’orizzonte e la politica monetaria della Federal Reserve è indirizzata a favorire la crescita, il Congressional Budget Office (organismo tecnico e bipartisan) prevede che non ci saranno battute d’arresto almeno fino al 2017.
Questo significherebbe una crescita di otto anni e mezzo: la terza del dopoguerra per durata, superata solo dal periodo 1961-69 (che fu un boom di tutto l’Occidente, post-ricostruzione) e dall’Età dell’Oro della New Economy sotto Bill Clinton quando il Pil segnò un risultato positivo per un intero decennio dal 1991 al 2001. In ogni caso già oggi la longevità della ripresa è due volte superiore alla durata media dei periodi di crescita nella storia degli Stati Uniti dal 1854 (Guerra civile) ad oggi. Qui si fermano le buone notizie, però.
Dopo avere dato atto a Barack Obama di aver guidato il Paese in uno dei periodi di crescita più lunghi nella storia, il Wall Street Journal ricorda tutto ciò che offusca la qualità di questa ripresa. Al primo posto c’è la situazione del mercato del lavoro. Con un tasso di disoccupazione del 6,7%, il peso dei senza lavoro è un record negativo: se si confrontano gli altri periodi di ripresa-record, al 58esimo mese la disoccupazione era scesa molto più giù. Negli anni Sessanta l’America conobbe il pieno impiego, con un tasso di disoccupazione attorno al 3%. Perfino negli anni Novanta, la disoccupazione scese ben al di sotto del 5%. Cosa c’è dietro questa “ripresa debole”, con un Pil in aumento solo dell’1,8% annuo dal 2009 a oggi? Riuscire a spiegarlo è fondamentale per dedurne le ricette giuste di politica economica. In campo si affrontano interpretazioni diverse. Una teoria è quella degli economisti Kenneth Rogoff (ex del Fondo monetario internazionale) e Carmen Reinhart, secondo cui siamo in una ripresa “malata” perché preceduta da un collasso del sistema bancario. I crac sistemici della finanza, secondo lo studio Rogoff- Reinhart spalmato su più secoli, diffondono delle tossine che l’economia smaltisce molto lentamente. Un’altra spiegazione di Larry Summers (ex segretario al Tesoro di Clinton ed ex consigliere di Obama) chiama in causa una «stagnazione secolare » legata alla globalizzazione e alle innovazioni tecnologiche. Il fronte dei neokeynesiani guidati da Paul Krugman denuncia invece degli errori specifici causati dalla destra repubblicana e dalla timidezza di Obama: la gravità della recessione del 2008-2009 avrebbe richiesto un’iniezione di spesa pubblica ancora superiore a quella che fu varata nel gennaio 2009. Ora si affaccia con prepotenza nel dibattito americano la “teoria Piketty”, dal nome dell’economista francese Thomas Piketty. Autore di uno studio monumentale (“Il capitale nel XXI secolo”), consultato da Obama e dalla Banca mondiale, osannato dai Nobel Krugman e Joseph Stiglitz, Piketty ricostruisce la dinamica delle diseguaglianze sociali dalla Rivoluzione francese ai nostri giorni. Piketty individua una sorta di circolo vizioso, un meccanismo perverso che esasperando le diseguaglianze deprime la crescita, e viceversa: una crescita fiacca trasforma l’economia di mercato in un «capitalismo patrimoniale » dove il privilegio ereditario frena la mobilità e l’innovazione.
Il soggetto di politica economica più potente d’America e del mondo, ha già fatto la sua scelta: la Federal Reserve sotto la presidenza di Janet Yellen è convinta che questa ripresa sia inadeguata. La Yellen denuncia l’anomalìa della disoccupazione e intende contrastarla con ogni mezzo. Questo dovrebbe rappresentare una polizza assicurativa sulla durata della ripresa: la Fed non alzerà il costo del denaro finché il mercato del lavoro non ritrova una salute soddisfacente. Le vere incognite possono venire da fuori, in primis un rallentamento della crescita cinese che è considerato oggi come un serio pericolo dagli americani.
Federico Rampini, la Repubblica 22/4/2014