Andrea Tarquini, la Repubblica 22/4/2014, 22 aprile 2014
“VADO IN PENSIONE MA VAN ROMPUY È IL SONNIFERO DELL’EUROPA”
[Intervista a Daniel Cohn-Bendit] –
BERLINO
«Il populismo europeo è pericoloso come il serpente tentatore della Bibbia, sta ai politici europeisti contrastarlo lanciando messaggi e politiche credibili». È il monito di congedo di Daniel Cohn-Bendit, eroe del Sessantotto e poi decano dei Verdi europei, che ha appena deciso («perché ormai sono anziano e ho affrontato una malattia») di non candidarsi più.
Perché ha deciso di non correre più come candidato? È un addio alla politica?
«No, ha a che fare con la mia età. Ho ormai 69 anni, certo in Italia e altrove molti politici restano in carica senza limite. Come il vostro presidente Napolitano. Ora, per quanto si possa pensar bene di lui, ci vuole un rinnovamento. Dopo un certo tempo, i politici devono lasciare. Poi, smetto anche perché sono stato malato, tre anni fa ho avuto noduli cancerosi alla tiroide. Mi sono detto: è tempo di smetterla. Anche se adesso sto bene».
Politici anziani e mai pensionati, è un problema europeo?
«È un problema il fatto che i politici lasciano mal volentieri il potere, vi si aggrappano. È un problema umano, non europeo. Ma certo in America non si può essere presidente per più di due mandati. In Francia invece teoricamente si può essere rieletti senza fine».
È un motivo in più del crescente euroscetticismo?
«No, purtroppo non credo. Nel Front National si candida Le Pen padre, che può a malapena camminare ma certo sarà eletto ».
Lei è sempre stato un europeista convinto: è deluso dall’Europa reale com’è oggi?
«No, non sono deluso. Vedo quanto la situazione sia difficile, mi rendo conto che ci vorrà del tempo per arrivare agli Stati Uniti d’Europa. Ogni processo democratico per costruire un’Europa democratica durerà molto. Così come è stato per la costruzione di Stati democratici a livello nazionale. Guardi quanto è stato difficile in Italia divenire democratica, e oggi lanciare riforme necessarie per l’Europa, tanto da indurre il timore che sia irriformabile. Finora Roma si è concentrata solo sulla riforma del sistema elettorale. O alla Francia: il processo democratico cominciò con il 1789 ma fu compiuto solo col suffragio universale anche per le donne, anni dopo. Non sono deluso dall’Europa, ma sono consapevole delle difficoltà».
Quali sono le maggiori?
«Cinquant’anni fa l’Europa di oggi, con le sue realizzazioni, sarebbe stata inimmaginabile. Ma guardo alle sfide che ha davanti: il grande problema è come arrivare a una sovranità democratica europea nell’èra della globalizzazione. È ancora una lotta lunga».
Insomma troppe differenze tra l’Europa che sognavamo e l’Europa reale di oggi?
«Credo che il confronto principale in Europa coinvolga negli Stati nazionali sia le élites sia gli elettori.
Il problema è chiarire che davanti alla globalizzazione, della crisi degli Stati, della crisi sociale ed ecologica, la sovranità nazionale è emarginata dalla globalizzazione stessa. Non esiste più una vera sovranità nazionale».
In che senso?
«Nel senso che la sovranità è libertà di darsi da soli istituzioni e modelli di vita. La riconquisteremo solo con una sovranità europea condivisa. Ma è un cambio di paradigmi storico, non è così facile capirlo né per gli elettori né per gli eletti. Ecco lo scontro d’oggi».
Molti cittadini d’Europa sembrano preferire la sovranità nazionale a una devolution di sovranità all’Europa…
«Non so se sia così, ma bisogna chiarire ai cittadini che la sovranità nazionale ormai è solo un miraggio. Occorre chiarirlo con tutte le difficoltà dei contesti storici e memoria storica d’ogni Stato nazionale europeo. L’Italia ha vissuto epoche in cui preferì una dittatura alla democrazia, ma era giusto resistere a Mussolini, no?».
Van Rompuy ha accusato i partiti europeisti storici di non battersi a fondo per l’Europa, e in alcuni casi di imitare gli slogan dei populisti. Che ne dice?
«Il problema è che Van Rompuy è più un sonnifero che non un esempio. Fare politica come fanno lui o Barroso crea difficoltà alla lotta degli europeisti».
Ma a prescindere da ciò, i popolari europei e altre partiti a volte imitano gli slogan dei populisti. Non le sembra pericoloso?
«Insisto: i governi, nel corso della crisi, si sono mostrati capaci di reagire solo molto lentamente a livello intergovernativo, e ciò ha indebolito l’idea europea. Juncker, capolista del Ppe, ha detto di volere un’Europa più sociale e un salario minimo europeo. Ma da capo dell’Eurogruppo si è adeguato al rigore che ha messo in ginocchio la Grecia, mica ha denunciato quel rigore inaccettabile da un punto di vista sociale. Non è un modo credibile di far politica. Lo stesso vale per Schulz: sociale, ecologico, a parole. Ma nei fatti ha concesso a Merkel ogni compromesso in politica sociale e di bilancio, compromessi che hanno indebolito l’idea d’Europa».
Enzensberger ha definito l’Europa un “mostro soft”...
«Lo scrittore austriaco Robert Menasse ha scritto cose molto più profonde. Enzensberger ha messo su carta i suoi pregiudizi dopo aver trascorso appena una settimana a Bruxelles. Menasse ci è stato sei mesi. Ha descritto molto bene il modo in cui almeno nelle istituzioni europee la maggioranza dei funzionari cerca di pensare e formulare idee in modo europeo, non più nazionale. Enzensberger è un grandissimo scrittore, ma di politica non capisce nulla. Non dimentichiamo che nel ‘68 scrisse che il nostro modello è Cuba. Gli euroscettici sono circa venti europei su cento, quindi ottanta su cento sono non euroscettici bensì incerti. A loro, e a chi vuole un’altra Europa, non a nazionalisti, razzisti, antisemiti devo rivolgermi. A che pro parlare con Orbàn? Perché il presidente del Ppe è andato all’ultimo comizio elettorale di Orbàn? Perché Kohl ha scritto al “caro amico Viktor”? Vede, i politici anziani dovrebbero lasciare la politica».
Habermas sottolinea il deficit di legittimità democratica della Ue. Ha ragione?
«Habermas ha ragione. La democrazia europea va ripensata e sviluppata. Però, ripeto, la Francia cominciò a lottare per la democrazia nel 1789 e conseguì la piena democrazia nel 1945 col voto alle donne, 150 anni dopo. E quanto ci ha messo l’Italia? La costruzione della legittimità può essere un processo lunghissimo a livello europeo. Durerà molto, è una lotta, l’impazienza non aiuta. L’Europa ha compiuto progressi storici, ma non basta».
Quanto teme la noia verso l’Europa?
«Perché l’Europa dovrebbe essere più noiosa della Francia o dell’Italia? O più burocratica?».
Ma i populisti volano nei sondaggi: quanto sono pericolosi, e — pensi a Orbàn o al FN — contagiosi?
«Hanno 20 elettori su cento. Dipende da come noi europeisti faremo politica per l’80 per cento restante. Contagiosi? Quanto è stato contagioso Berlusconi? Quanto è pericoloso Grillo? Non lo so. Mi interessa non quanto siano pericolosi, ma quanto i Verdi e chiunque voglia davvero un’Europa federale saprà convincere la gente. Inutile rompersi la testa sugli altri. Nella misura in cui noi europeisti sapremo costruire l’Europa ed essere credibili, loro non saranno contagiosi. Le proposte per l’Europa devono essere sociali, ecologiche, democratiche, capaci di mostrare come l’Europa e il suo Parlamento possano funzionare. In Italia ad esempio riforme di successo metteranno Grillo nell’angolo, ma giochetti di potere possono bloccare tutto e allora Grillo e la Lega troveranno spazi».
Intanto il FN e la destra radicale austriaca si esprimono, nel confronto con l’Occidente, a favore di Putin. Che significa?
«Ciò mostra quale Weltanschauung di sogni autoritari li muova. Gli amici di Putin sono estremisti di destra o di sinistra, mossi dall’antiamericanismo. Odiano l’idea della civiltà occidentale. L’America compie molti errori, ma è una democrazia con un’opinione pubblica democratica. Che in Russia non esiste, in Ungheria quasi non esiste più. Occorre chiarirlo. Il populismo è un serpente che affascina come quello della Bibbia, questo suo fascino è pericoloso. Quanto più ci sentiamo paralizzati dalla paura, tanto meno saremo in grado di batterci per l’Europa che vogliamo».
Andrea Tarquini, la Repubblica 22/4/2014