Marco Belpoliti, La Stampa 22/4/2014, 22 aprile 2014
ELISABETTA, 88 ANNI. PER UNA VOLTA LI DIMOSTRA
I nonni salveranno il mondo. Nel sorriso della regina Elisabetta c’è tutta la forza di convinzione di chi ha superato indenne le tante calamità di un secolo terribile, il XX, e si affaccia dal balcone del nuovo, il XXI, mostrando con allegria tutte le proprie rughe, seppur attenuate dall’abile illuminazione di David Bailey.
E anche, la smagliante serie dei denti, la messa in piega e soprattutto un malizioso sorriso sornione, da gatta. Come a dire: so ben io. A ragione.
Nata nel 1926, Elisabetta II, ancora regina d’Inghilterra e del Commonwealth, è l’emblema di questa Europa dei nonni, con la popolazione più vecchia del Pianeta, il Vecchio continente, dove l’attesa di vita per uomini e donne cresce di anno in anno, con le donne più longeve dei maschi. Se è vero che questo ritratto è stato commissionato dal governo inglese come un atto di marketing per promuovere il Paese, seppur con il consenso attivo dell’interessata, Bailey ha fatto centro mostrandoci una donna anziana in ottima forma, ottimista, soddisfatta di sé, immagine ideale in un mondo che sin qui ha sempre osannato la giovinezza quale modello valido per ogni età della vita. Che stia ritornando l’idea della vecchiaia quale età della saggezza, della riflessione, del sapere contro l’aspirazione all’eterna giovinezza? Con un movimento opposto e simmetrico all’ascesa delle nuove generazioni nella politica, nell’economia, nella società, al mito della «rottamazione» dei vecchi, la Gran Bretagna contrappone la sua anziana regina in perfetta forma, sorridente e ottimista.
Non è vero che questo non sia un Paese per vecchi. C’è posto anche per loro, soprattutto per loro, dato che gran parte della ricchezza attuale l’ha prodotta la generazione cui appartiene Elisabetta, e ne detiene ancora una buona fetta, per quanto abbia notevolmente diminuito con l’età avanzata i propri consumi. Un tempo ci si rivolgeva agli anziani come a una fonte sicura di conoscenza, per trarne ammaestramenti, avvertenze, consigli, indicazioni. L’anziano del villaggio era il detentore del sapere in un mondo che aveva fatto della stabilità e della continuità il suo fondamento. La tradizione come stile di vita. Poi è arrivata la grande trasformazione degli Anni Sessanta e Settanta, l’invenzione dei teenager, i giovani all’avanguardia nella rivoluzione dei costumi e dei consumi, l’adolescenza come età ideale anche per gli adulti. A tutto questo è seguita la crisi radicale della paternità, la morte del padre e dell’autorità tradizionale. Il sorriso accattivante della regina d’Inghilterra sembra far piazza pulita di tutto questo, e dar ragione a Carl Gustav Jung che, in occasione del suo ottantacinquesimo compleanno, nel 1960, dichiarava all’inviato del «Sunday Times»: «Una conoscenza di sé sempre più approfondita è indispensabile per una vera continuazione della vita nella vecchiaia (…). Non c’è niente di più ridicolo o stolto di un vecchio che finge di essere giovane: si perde anche la dignità, che è l’unica prerogativa della vecchiaia».
Di questa dignità Elisabetta si fa forte, anzi la volge in una provocazione chi per la guarda: Sono ancora qui, sorrido alla vita. Prima che ai figli e ai nipoti, alle generazioni presenti e future, questo sguardo è rivolto alle generazioni passate, ai vecchi come lei, che invita a imitarla. Per quanto privilegiata per nascita e per carica, Elisabetta è davvero una donna anziana come le altre. Nonostante il giro di perle, l’abito elegante, la spilla e gli orecchini, è una donna del popolo, appartiene a quella borghesia in crisi, o in via di scomparsa, ma che ancora si può riconoscere nelle sue rughe d’espressione, nelle pieghe delle guance e del collo. Mostrare la propria vecchiezza è motivo d’orgoglio. Dopo aver volto lo sguardo da fuori a dentro, com’è necessario per la vera saggezza, diceva Jung, ora Elisabetta lo rivolge fuori e l’irradia all’intorno. Ci dice: Saremo ancora noi nonni, e bisnonni, a salvare il mondo, credetemi.
Marco Belpoliti, La Stampa 22/4/2014