Roberto Da Rin, Il Sole 24 Ore 22/4/2014, 22 aprile 2014
SFIDA FINALE SULL’ULTIMO TANGO BOND
Il tesoro argentino all’estero «potrà esser cercato ma non attraverso i canali istituzionali, militari e diplomatici». È questa la conclusione cui è approdata ieri una Corte americana. Ci sono i buoni e i cattivi, tanti soldi contesi e una giuria costituita da magistrati Usa. I soldi, neanche a dirlo, sono nascosti dal governo di un Paese latinoamericano in vari conti segreti all’estero; i supposti creditori vorrebbero scovarli. Una perfetta telenovela finanziaria.
I due Paesi sono Argentina e Stati Uniti (i buoni e cattivi variano a seconda della latitudine dai cui si assiste allo spettacolo, ovvio), la vertenza è iniziata più di un anno fa; ieri c’è stata una sentenza della Corte suprema americana, a Washington. Le parti in causa sono due: il fondo americano Nml Capital e il governo dell’Argentina. Sullo sfondo lo spettro di un default argentino per 1,33 miliardi di dollari.
La Corte americana si è pronunciata sull’obbligo o meno del governo argentino di dichiarare dove è nascosto il tesoro. Quella di ieri è stata la 16^ puntata, la prima è iniziata il 7 gennaio 2013 e l’ultima è prevista il prossimo giugno. Il fondo americano si ritiene creditore di 1,33 miliardi di dollari, in quanto depositario degli interessi degli holdouts, coloro che non hanno accettato i vari concambi offerti dal Governo di Buenos Aires tra il 2005 e il 2010.
I magistrati americani, in modo salomonico ma originale, hanno accolto le motivazioni americane ma di fatto le hanno depotenziate. Il governo argentino, questo è il cammeo della vicenda, ha potuto fruire dell’appoggio indiretto di Barack Obama e in qualche modo segna un punto a favore del Paese latinoamericano che non sarà tenuto a comunicare a Paul Singer, proprietario del fondo Nml Capital che fa capo a Elliot Management, dove sono depositati i dollari, 1,3 miliardi, che vengono richiesti come risarcimento per non aver sottoscritto nessuno degli accordi di concambio. L’Argentina, per parte sua, ha più volte dichiarato di non poter riaprire la trattativa per non dover rinegoziare i termini con coloro che hanno accettato le offerte.
Una sentenza piuttosto sensazionale, per varie ragioni: il "discovery case", così è stato chiamato, ha attratto l’attenzione per la particolare composizione degli interessi dietro alle parti in causa. Un rappresentante del Governo di Obama, il procuratore generale aggiunto Edwin Kneedler ha difeso per la prima volta la posizione argentina. Kneedler ha sostanzialmente appoggiato l’avvocato di parte argentina Jonathen Blackman, affermando che gli Stati Uniti non possono esigere che l’Argentina comunichi questo tipo di informazioni, in quanto si violerebbe l’immunità internazionale.
Più in dettaglio l’udienza di ieri ha offerto dei colpi di scena. I due giudici Antonio Scalia e Sonia Sotomayor hanno espresso "scetticismo" riguardo alle argomentazioni argentine ma altrettanta prudenza nell’accogliere le istanze del fondo americano. I creditori non potranno beneficiare di un accesso automatico a questo tipo di informazioni.
Roberto Da Rin