Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore 22/4/2014, 22 aprile 2014
ILVA, 120 MILIONI DI COSTI PER SMALTIRE I RIFIUTI
C’è una vicenda, che nella sua "normalità", rappresenta bene il paradosso dell’Ilva. La questione dello smaltimento dei rifiuti prodotti dalla lavorazione siderurgica. Iniziamo da una cifra. Smaltire una tonnellata di rifiuti non pericolosi – sottolineiamo non pericolosi – costa 80 euro a tonnellata. Lo puoi fare all’interno della fabbrica, se hai una discarica perfettamente funzionante. Oppure, se non ce l’hai o se ce l’hai ma per qualche ragione burocratico-amministrativa o giuridico-giudiziaria non sei in grado di utilizzarla, devi ricorrere ai servizi di chi ha una struttura simile.
Nel primo caso, adoperi la tua organizzazione e coinvolgi piccole imprese esterne specializzate in questo genere di operazioni. Dunque, ottimizzi le tue risorse e dai lavoro al tessuto produttivo circostante. Nel secondo caso, semplicemente, paghi. Bene, ora l’Ilva potrebbe essere costretta a staccare un assegno da 120 milioni di euro. La società, infatti, smaltisce i rifiuti in un piccolo sito (perfettamente funzionante e con le "carte" a posto) che, però, a fine maggio dovrebbe esaurire la sua capienza: restano ancora ventimila tonnellate. Dopo, non si sa. Il problema è che l’Ilva ha stoccato, ancora in fabbrica, un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti non pericolosi. Sono giacenze di vecchie lavorazioni, che restano ferme e non vengono smaltite.
L’Ilva dovrà portarle tutte al di fuori del suo perimetro? Sarà costretta a ricorrere ai servizi degli imprenditori pugliesi specializzati in questo florido e redditizio business? Al di là del fatto che l’offerta di questo genere di servizi appare satura, e dunque non sarebbe nemmeno troppo semplice riuscire a farlo, se alla fine l’Ilva si trovasse nelle condizioni di esternalizzare questo processo dovrebbe spendere 80 euro per un milione e mezzo di tonnellate. In tutto, appunto, 120 milioni di euro.
Il problema è che, questa somma, potrebbe essere tranquillamente risparmiata. E una quota non irrilevante di essa potrebbe essere dirottata sulle imprese di servizi che, nell’economia locale, sono specializzate nelle fasi più elementari del processo di smaltimento. La realtà è che questo non accadrà. Ed è un paradosso. Perché, all’interno dell’acciaieria, la nuova discarica dove convogliare questo materiale inerte ci sarebbe. Si trova all’interno del perimetro della fabbrica, in località Mater Gratiae, nel comune di Statte, al confine con Taranto. La discarica per i rifiuti non pericolosi ha ottenuto la valutazione di impatto ambientale, da parte della Regione Puglia, nel 2000. È stata costruita fra il 2009 e il 2011. C’è. Ma non si può usare, perché intorno si è formato un labirinto di ritardi, palleggi fra l’azienda e l’amministrazione comunale, pareri dell’Arpa, valutazioni della Guardia di Finanza, contro-pareri dell’Arpa stessa. Tecnicamente il Comune di Statte ha fatto ricorso a fine 2013 al Tar di Lecce contro l’autorizzazione rilasciata dall’Arpa Puglia tredici anni prima. A inizio 2014, per la precisione il 7 febbraio, il Tar di Lecce si è pronunciato a favore dell’Ilva, annullando l’ordinanza del Comune di Statte di demolizione della discarica stessa.
Tutto liscio? Si procede, diritti come un treno? No. A questo punto, è intervenuto un parere dell’Arpa Puglia che ha posto una serie di paletti assai dettagliati nell’analisi della bontà della costruzione della discarica stessa. Sì, perché quest’ultima è stata costruita con scorie di acciaieria inerti. In particolare, l’Arpa ha richiesto non il normale test previsto per questo tipo di impieghi. Ma ha richiesto un test particolare a Ph variabile la cui adozione, in virtù dell’elevata acidità, potrebbe finire addirittura per sciogliere queste scorie, provocando dei rilasci anomali. Il che obbligherebbe a demolire l’intera discarica, imporrebbe di smaltire una enorme quantità di rifiuti costituita dalle scorie con cui è essa stata costruita e porterebbe al blocco del suo utilizzo per almeno due anni, con un ulteriore costo a carico dell’Ilva di 30 milioni di euro. Dunque, nel combinato disposto formato da un lato dallo smaltimento del milione e mezzo di rifiuti di vecchia data adesso stoccati nell’acciaieria e, dall’altro, da questi nuovi costi vivi, ecco che si arriva a non meno di 150 milioni di euro. Una cifra molto impegnativa da digerire, per un organismo industriale come l’Ilva che già sta sperimentando un graduale deterioramento della sua finanza di impresa.
Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore 22/4/2014