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 2014  aprile 22 Martedì calendario

UMBERTO LENZI, IL REGISTA ITALIANO PREFERITO DA QUENTIN TARANTINO, È ANCHE UN GIALLISTA CON I FIOCCHI. VI CONSIGLIO IL SUO ULTIMO LIBRO


Grande regista di «poliziotteschi» negli anni settanta, ma anche di horror, tra cui alcuni cult sul cannibalismo, nonché di film di guerra, anzi di film «de guera» come dicono a Cinecittà, Umberto Lenzi non è soltanto il regista italiano preferito da Quentin Tarantino, notoriamente devoto a pellicole come Il trucido e lo sbirro e Roma a mano armata. Lenzi è anche uno dei migliori scrittori italiani di gialli in circolazione, come dimostra l’ultima storia, fresca di libreria e qui vivamente consigliata, di Bruno Astolfi, l’ex commissario antifascista che diventa detective privato nella Roma del Duce e di Cinecittà, dove prende botte, scampa ad attentati e stana gli assassini lavorando per conto di registi, attori e attrici, case di produzione. Come colonna sonora le canzonette dell’epoca: Saran belli gli occhi neri, Vecchia Roma sotto la luna non canti più, Sotto un manto di stelle, Guarda che sole ch’è sortito Nannì, Ho un sassolino nella scarpa ahi.
In realtà l’ultima avventura di Bruno Astolfi, Il clan dei Miserabili, Cordera 2014, pp. 170, 14,00 euro, è ambientata nel dopoguerra, dopo la caduta del Dux e del suo alleato, il Grande assassino tedesco. Siamo sul set dei Miserabili, un film di Riccardo FredaUmberto, che non ho mai visto (se l’ho visto, me ne sono dimenticato) e che mi piacerebbe vedere, con Gino Cervi nella parte di Jean Valjean e Valentina Cortese in quella di Cosetta. C’è anche qui da stanare un assassino che taglia gole dentro e fuori dal set. Astolfi e il commissario suo antagonista, Vito Patané, un fascistone che gli aveva dato filo da torcere nei romanzi precedenti, nel Clan dei miserabili sembrano capirsi più del solito, forse perché Astolfi si è sposato (con la bella Elena, sua eterna fidanzata, nonché vedova di suo fratello, morto in Spagna nelle fila degli anarchichi) e perchè il povero Patané è stato lasciato dalla moglie, che ora convive con un altro poliziotto.
Compaiono Totò e la sua spalla, il grande Mario Castellani, che recitano al Teatro Valle l’immortale sketch del vagone letto, Castellani nella parte dell’onorevole Cosimo Trombetta, Totò in quella d’Antonio Scannagati, maestro di musica e scettico famoso («Onorevole lei? Ma mi faccia il piacere! Se ne vada, se ne vada»!) Ci sono osterie e mercatini: la Roma dei bulli di Petrolini e del neorealismo, delle commedie strappacore d’Aldo Fabrizi, di campo de’ Fiori e dei «cortili», dei film sociali di Vittorio De Sica (ci sono anche Fabrizi e De Sica in persona, naturalmente).
Umberto Lenzi, per le storie di Bruno Astolfi, s’ispira ai classici noir con Toby Peters, il detective di Stuart Kaminsky (critico di cinema, tra gli sceneggiatori di C’era una volta in America, scomparso qualche anno fa) che agisce a Hollywood come Astolfi a Cinecittà, anche lui a cavallo degli anni quaranta. Peters lavora per Erroll Flynn, per i Fratelli Marx, per Gary Cooper e John Wayne, per Bela Lugosi, per Judy Garland e Howard Hughes; lo assistono nelle sue inchieste Ian Fleming e Dashiell Hammett, Eleanor Roosevelt e Alfred Hitchcock, Joe Louis, Al Capone e Bertolt Brecht. Astolfi lavora per i loro omologhi a Cinecittà: Amedeo Nazzari e Mario Camerini, Carmine Gallone, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida. Mario Soldati, Giorgio Scerbanenco, Cesare Zavattini, Guido Piovene, Walter Chiari e Ugo Tognazzi, Dino Buzzati e Indro Montanelli lo assistono nelle sue indagini. Lenzi non è meno bravo di Kaminski (che dev’essere il suo giallista preferito, così come lui è il regista preferito di Quentin Tarantino).

Diego Gabutti, ItaliaOggi 22/4/2014