Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 20 Domenica calendario

QUANDO MATTEO FACEVA IL VENDITORE DI GIORNALI


Per trovare la lontana radice del “mezzo capolavoro sul piano della comunicazione politica” di venerdì, come ha definito la conferenza stampa sul taglio dell’Irpef il nostro direttore Antonio Padellaro, bisogna tornare indietro nel tempo. A 10-15 anni fa quando il presidente del consiglio doveva trovare il modo per vendere i giornali e non per riempirli con slogan accattivanti. L’arte del marketing e le tecniche di motivazione della propria squadra, che un tempo erano il marchio di Berlusconi sono diventate di sinistra grazie a Renzi, che le ha respirate sin da piccolo nell’azienda paterna. Renzi non deve fingere di essere in sintonia con il popolo delle partite Iva come gli altri leader della sinistra, perché da quel mondo proviene.
Oggi la società di famiglia si chiama Eventi6. Matteo è un dirigente in aspettativa dal giugno 2004 ed è stato assunto, dopo anni di co.co.pro. il giorno prima della sua candidatura a presidente della Provincia, il 27 ottobre del 2003. Il padre Tiziano formalmente è solo un consulente anche se resta il ras dell’azienda. I soci sono le due sorelle Matilde e Benedetta e la mamma Laura Bovoli con una piccola quota. Con la crisi dei giornali la Eventi6 ha diversificato distribuendo oltre ai giornali (come la free press di Leggo e Metro) anche le Pagine Gialle e i volantini dei supermercati. Ed è interessante notare quali supermercati: l’appalto che garantisce una buona fetta del fatturato di quest’anno non viene dalla catena Coop degli amici del ministro Poletti, bensì dalla Esselunga di Caprotti, un cliente storico che sceglie i Renzi per ragioni professionali ma che è amico di Berlusconi.
Negli anni in cui Matteo Renzi ha lavorato presso l’azienda di famiglia, la Chil (questo il nome di allora) distribuiva Repubblica , Il Secolo XIX, Il Messaggero e soprattutto il gruppo Riffeser, cioé Nazione, Resto del Carlino, Il Giorno. Era il momento del boom degli allegati: cd, libri enciclopedie e fumetti. Matteo Renzi e il padre inventavano idee per spingere i clienti a comprare con tecniche di marketing ed eventi. C’era l’allegato di Dante Alighieri con la Nazione? Vicino all’edicola spuntava il ragazzo della Chil vestito da Dante con il costume d’epoca. C’era il cd con la musica classica o il fumetto western? Ecco spuntare Giuseppe Verdi con barba e cappello o il cow boy a cavallo. I Renzi erano i più bravi nell’accalappiare i lettori ed erano arrivati a distribuire 10 mila copie ogni giorno grazie alle stesse tecniche di marketing che oggi sono dietro molte scelte del premier. L’altra ragione del boom del fatturato della società di famiglia, che negli anni d’oro ha superato i 7 milioni di euro, era l’abilità di Matteo Renzi nel motivare i dipendenti facendoli sentire parte di una squadra vincente.
Il Matteo Renzi che chiama per nome i ministri e i membri della sua segreteria del Pd non è tanto diverso da quello che chiamava per nome i suoi strilloni all’appuntamento quotidiano davanti al garage Europa di Borgo Ognissanti a Firenze. Qui ogni mattina alle sei un giovanissimo Renzi arrivava con il suo furgone da Rignano sull’Arno e consegnava ai suoi strilloni i pacchi dei giornali e le news per la giornata. Prima di lui, alle 5 di mattina, partiva la sorella maggiore Benedetta Renzi per andare a Bologna all’appuntamento con gli strilloni in via Tosarelli. A Firenze nello stesso momento, al garage Europa una dozzina di anni fa l’attuale premier aiutava i ragazzi a tirar giù i pacchi con le copie della Nazione dal furgone e li consegnava agli strilloni che gli restituivano in cambio il pacco del giorno prima con le rese. A questo punto Matteo tornava a casa e scriveva – strillone per strillone, semaforo per semaforo – chi era rimasto con troppe rese in mano.
Poi stilava le news, che erano la base del successo della Chil. Ancora oggi papà Tiziano le conserva con un orgoglio. Le news erano le circolari scritte di pugno da Matteo con le pagelle delle performance dei più bravi e i premi di produzione per stimolare tutti a migliorare. Chi superava le soglie di vendita prestabilite, poteva contare su un numero di giornali, fino a un pacco intero, gratis.
“Matteo – ricorda un suo collega di allora che vuole mantenere l’anonimato – era molto creativo e riusciva a fare squadra. Per esempio un giorno Roberto Benigni aveva donato 50 euro a una ragazza di Scandicci che gli aveva venduto la Nazione. Allora Matteo promise nelle news un pacco di giornali a chi vendeva una copia a un altro personaggio famoso”.
Come si usa in tutte le strutture di vendita, Matteo inseriva nelle news battute ironiche per stimolare tutti a migliorare prendendoli un po’ in giro”. Anche dal ramo materno della famiglia, Matteo ha succhiato il marketing. Quando era un bambino lo zio Nicola Bovoli, già direttore marketing dei periodici Rizzoli, importò in Italia il bingo che fece vendere centinaia di migliaia di copie in più ai grandi giornali. La Chil ha smesso di fare strillonaggio proprio quando Renzi è diventato presidente della provincia nel 2003. La ragione la racconta il solito impiegato anonimo: “Quando Matteo si candida, ad aprile 2004, il padre comunica alla Nazione che molla lo strillonaggio. C’erano molti strilloni extra comunitari. A Bologna c’erano tanti pakistani, a Firenze i peruviani e a Genova su 54 portatori 24 erano nigeriani. L’amministrazione della Chil pretendeva il permesso di soggiorno ma – racconta l’ex impiegato anonimo della Chil – c’era il grande Manuel che era un peruviano. Non si sa come facesse ma Manuel aveva 27 cugini, tutti senza permesso. Ecco, Manuel risolveva il problema dicendo: ‘ci penso io’. E che faceva? Prendeva i giornali, li portava alla stazione di Firenze, girava l’angolo in via della Scala e li dava a un extracomunitario irregolare a cui consegnava la casacchina. E quello andava a vendere i giornali. Se un vigile lo fermava, col cavolo che c’aveva il permesso di soggiorno. Tiziano Renzi – prosegue l’ex impiegato – sapeva benissimo che c’era questo rischio. Per evitare che il primo giornalista potesse scrivere: ‘l’azienda del presidente della Provincia fa immigrazione clandestina’, Tiziano Renzi ha rinunciato a 18 mila euro al mese di fatturato. Ecco perché quando gli dicono che l’impegno politico del figlio lo ha aiutato si incazza come una biscia africana trapiantata in Bolivia”.

Marco Lillo, Il Fatto Quotidiano 20/4/2014