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 2014  aprile 20 Domenica calendario

BUON COMPLEANNO NUTELLA. LA LUCE DOPO LA “MALORA”


C’era davvero «la malora» nelle terre attorno a Alba, 50-60 anni fa. Non erano invenzioni di Fenoglio o di Pavese quei contadini che si buttavano nel pozzo o si appendevano alla trave del fienile. Certo, anche lì qualcosa era migliorato, rispetto a prima della guerra: Vanoni aveva riconosciuto la pensione e gli aiuti dello Stato portavano qualche beneficio alla vita di piccoli proprietari, mezzadri e fittavoli abbarbicati sulle colline: quelle aspre della Langa e quelle più dolci da S. Stefano in poi, declinanti dalla Piana del Salto verso il Monferrato.
Ma ogni famiglia aveva ancora qualcuno in America. Da Santa Fè a Cordoba si parlava piemontese. E la storia dell’emigrazione continuava. Ora, è vero, si fermavano alla Fiat, perché anche in Italia era partito il decollo industriale. Ma per ognuno che partiva si abbandonava un po’ di vigneto e il gerbido si rimangiava secoli di minuta coltivazione e di lotta contro la natura aspra cui contendere i magri proventi della vite. Tutto così, in una lenta asfissia, fino a quel giorno che oggi siamo in grado di fissare, il 20 aprile del 1964, quando dalla fabbrica della Ferrero uscì il primo barattolo della Nutella. Nessuno se ne accorse subito, è ovvio, ma è da quel mattino piovoso che prese corpo la grande trasformazione, che l’inferno si tramutò in Eldorado.
Perché da allora, ad Alba, alla Ferrero, cominciò a fermarsi il popolo delle colline, senza dover più prendere bastimenti e attraversare il mare. Anzi, in quella fabbrica lungo il Tanaro i contadini-operai della Ferrero scendevano solo per il servizio e se ne tornavano a casa. Che stessero là, non era il caso di traslocare! Michele Ferrero questo voleva e li mandava a prendere ogni santo giorno con la corriera, lungo quelle strade ritorte tracciate nei secoli per non tagliare i piccoli appezzamenti. Stessero là, senza venirsi a cercare una casa d’affitto che gli mangiava lo stipendio. Stessero là, per aiutare i vecchi e continuare a fare un po’ di campagna, finiti i turni della fabbrica. E se la vite dava troppo lavoro, potevano piantare nocciole. A ritirarle ci avrebbe pensato lui per la sua Nutella. Così ci guadagnavano in due.
Storia ordinaria della fortuna di un prodotto e di una fabbrica nel tempo del boom? E no, storia straordinaria! Se industrializzazione aveva sempre significato sradicamento di uomini, qui voleva dire il contrario. Se aveva significato conflitto o tensione con la natura e l’agricoltura circostanti, qui prevaleva il rispetto reciproco. E c’era di più: c’era la cura speciale dei rapporti con le maestranze e con le loro famiglie cui si veniva incontro nei momenti felici o tristi della vita: una meraviglia per quelle donne e uomini che avevano vissuto isolati e dimenticati lungo le coste della Langa.
Michele Ferrero, erede diretto dei fondatori, cominciava così la sua avventura di grande capitano d’industria. Non gli importavano le teorie. Ma se si fosse chiamato Adriano Olivetti, ci avrebbe scritto libri su quella sua idea del rapporto tra fabbrica e territorio e sarebbe arrivato per primo a comporre la dicotomia tra globale e locale che oggi i teorici del «glocal» cercano ancora di definire nel dettaglio. E con un po’ di timidezza provinciale ci avrebbe forse aggiunto quell’altra sua idea del rapporto tra industria e finanza, teorizzando che un imprenditore, di norma, non fa il passo più lungo della gamba e investe del suo per realizzare i suoi sogni, senza far ridere le banche.
Già, ma questo lui poteva farlo perché, dal ’64, la Nutella sarebbe diventata la sua inesauribile banca.
Il successo del barattolo, in effetti, fu travolgente e si tradusse in qualcosa di molto più vasto delle fortune di un’impresa. Impresse all’albese un moto vorticoso di ottimismo che, insieme ad altre aziende sorte quasi per contagio, lo trascinò ai punti più alti dello sviluppo. E infatti Alba, nel decennio tra il 1961 e il 1971, passò da 20 a 28 mila abitanti per crescere, poco dopo, fino a 32 mila. Ma ciò che più conta è che anche nei paesi vicini si sentì il beneficio. Così, Diano, Barbaresco, Treiso, Monticello, Benevello, Castagnito, Grinzane, Guarene, Neive, Mango e Canale, toccato il picco inarrestabile dello spopolamento nel ’61, ricominciarono a crescere, come d’incanto.E su quelle colline da malora, tornate lucide e vive, iniziarono a scendere, estasiati dalla bellezza, svizzeri e tedeschi, come se avessero trovato il paradiso.
Fantastica Nutella!
Da allora l’avrebbero cantata poeti, cineasti, cantanti, cuochi, bambini e ghiottoni. E oggi su Google (40 e più milioni di segnalazioni) e Facebook (18 e più milioni di fans sul sito) continua un’irrefrenabile passione. Ma l’avrebbero dovuta studiare di più politici, sociologi ed economisti. Perché quel sapore dolce non sarebbe stato solo per il palato, ma per l’economia e la sorte di una vasta comunità di destino, nonché l’elemento centrale di quei cinque miti (Nutella, barolo, tartufo, Pavese e Fenoglio) che hanno trascinato fino a vette imprevedibili l’identità armoniosa di un’eccezionale combinazione di valori e di culture. Su cui avrebbero lavorato prima i pionieri alla Oddero e poi il genio di Carlin Petrini che sull’equilibrato rapporto fra territorio, ambiente, produzione e sviluppo avrebbe fondato il suo universale messaggio. Ricostruzione fantastica di un anniversario? Può essere e se ne può discutere, naturalmente. Ma fare spallucce e godersi l’ennesimo, replicato erede di quel primo barattolo di Nutella, come se niente fosse, sarebbe oggi, in ogni caso, riduttivo.

Sergio Soave, La Stampa 20/4/2014