Serena Dandini, IoDonna 19/4/2014, 19 aprile 2014
LUCIA ANNIBALI – “OGGI RINGRAZIO IL MIO VISO: È FRUTTO DI FATICA E TENACIA”
«Io sono come Lucia» è uno degli slogan affettuosi con cui le donne l’hanno voluta omaggiare nei giorni difficili del processo al suo persecutore. Ma essere Lucia Annibali non è così semplice. Dopo aver letto il suo libro - Io ci sono. La mia storia di non amore - tutto d’un fiato mi sono resa conto della quantità di coraggio e determinazione che sono necessari per «essere proprio come Lucia». Lo dico sinceramente, io non credo che sarei stata in grado di superare tutte le terribili prove a cui Lucia Annibali è stata sottoposta. E non parlo solo dell’allucinante dolore fisico che procura l’acido sulla pelle e la sequenza interminabile di trapianti che sono serviti giorno dopo giorno a ricostruire un volto che una storia di “non amore” voleva cancellare per sempre dalla terra. Mi riferisco anche all’esperienza di sopraffazione e dolore psicologico così intenso da spezzare per sempre il cuore di una donna quando si accorge di aver riposto i suoi sentimenti più intimi e preziosi nelle mani di una persona sbagliata e malefica. Ed è proprio questa consapevolezza che oggi rende Lucia un personaggio pubblico così importante, una testimone vivente e un monito per tutte le donne che continuano a cascare nella trappola di questi rapporti di “non amore”. Il suo volto non mi fa impressione come temevo perché il suo nuovo sorriso scolpito dalla chirurgia illumina la sofferenza subita di una luce di serenità che la trasforma in una principessa degli Elfi a cui possiamo affidare i nostri segreti.
Ciao Lucia, è come se ci conoscessimo da sempre… Mi mostra la mano che sta migliorando, le nuove sopracciglia disegnate da una bravissima estetista di Cattolica e le ultime operazioni, un work in progress della straordinaria équipe medica dell’ospedale di Parma, capitanata dal chirurgo Edoardo Caleffi, una vera famiglia per Lucia.
Come ti vedi oggi, Lucia?
La mia faccia è il frutto della mia fatica e della mia tenacia e anche il risultato dell’affetto che mi hanno dato tantissime persone sconosciute fino a quella sera di aprile.
Spesso dici che dopo la sera dell’agguato sei come rinata e che ami il tuo viso più di quand’era perfetto.
Oggi questo viso è parte di me, della mia storia, posso solo ringraziarlo e volergli bene. Mi sono sudata ogni piccolissimo passo avanti per vederlo migliorare e oggi mi sento bella della mia dignità e del mio orgoglio. Per me non è una sconfitta quello che lui mi ha fatto. La sconfitta è sua. Oggi c’è una nuova Lucia.
Che impressione ti fa vedere questa nuova donna sulle copertine, sui giornali, nei telegiornali, vicino al presidente della Repubblica… Chi è questa nuova Lucia?
Questa nuova Lucia esisteva anche prima, ma non riusciva a uscire e affermarsi. È nata dal dolore e dalla consapevolezza. Quando mi rivedo com’ero prima ripenso a me stessa sul terrazzo di casa a Pesaro, affacciata al balcone, in attesa che la mia vera vita cominciasse davvero, ero sospesa a metà. Mi dicevo: «Non può essere tutto qua, non può essere che ci sia solo questo».
Ti eri incastrata in quello che tu chiami un rapporto di non amore. Com’è una storia di non amore?
È una storia che ti distrugge, che ti fa credere di non essere abbastanza, di non essere all’altezza, di non essere adeguata, la mia dimensione era diventata soltanto lui, io e lui chiusi nella mia casa. Anche fisicamente: era come se lui mi avesse preso tutto...
Ma tu l’avevi finalmente lasciato, eri quasi riuscita a liberarti da quello che chiami nel libro “l’uomo vampiro”.
L’uomo vampiro è quello che ti succhia l’energia vitale, la bellezza della vita, la voglia di vivere... Io il punto di stacco lo avevo elaborato e raggiunto, poi è successo questo (si tocca il viso con affetto).
Sono tante le donne che rimangono intrappolate in questi rapporti.
È così, ci sono donne che attirano queste persone. Secondo me tutto parte proprio da un vuoto che si ha dentro e che ti porta a essere affascinata da certi soggetti... Ti rendi conto di essere in una situazione sbagliata, però non riesci a uscirne perché questi rapporti creano una dipendenza fisica e psicologica, vittima e carnefice diventano un tutt’uno, si scambiano i ruoli. Ti chiedi: «Com’è possibile che io faccia questo a me stessa?».
È per questo che nel libro parli dell’episodio dell’acido anche come di una liberazione, un vero paradosso.
Ma immagina anni passati nella paura e nella disperazione e nella non pace con te stessa. E poi finalmente: «Oh, è successo, è fatta, ora posso ricominciare con me!». Da quella sera in poi lui è finito e io mi sono rimessa in piedi, lui non c’entra più con il mio percorso. È stato anche un momento catartico.
Sei una donna che è passata attraverso una morte ed è rinata. Puoi aiutare moltissimo altre donne a uscire prima allo scoperto.
Alle donne voglio dire: voletevi bene, tanto, tantissimo... È questa la chiave, se ti vuoi bene non consenti a nessuno di trattarti come uno straccio. Dovete credere in voi stesse, sappiate che ogni atto di violenza subita non dipende mai da voi che amate l’uomo sbagliato, ma da lui che lo commette.
Ma tu non ce l’hai fatta a salvarti prima.
È vero, però non mi sono mai commiserata, non ho mai provato rabbia nei confronti del destino per quello che è successo. Forse bastavano poche ore per salvarmi, ma è andata così...
Nel libro racconti che stavi per denunciarlo.
Forse ancora ventiquattr’ore e sarebbe stato tutto diverso, ma denunciare non è facile, ci arrivi quando dentro di te è finito il sentimento. Denunciare significa rinunciare all’investimento che hai fatto su questa persona, capire che è sbagliata. E comunque c’è sempre la paura, non sai mai cosa può succedere dopo…
La nuova legge sullo stalking sappiamo che non basta. Cosa bisognerebbe fare?
Lavorare di più sulla prevenzione, rafforzare la protezione specialmente quando la donna decide di venirne fuori: è lì che i rischi aumentano, questi uomini sono molto pericolosi. Bisogna neutralizzarli, perché è dallo stalking che purtroppo nasce sempre molto altro...
Il 29 marzo è arrivata la sentenza: vent’anni di carcere per il tuo ex (non lo chiamiamo mai con il suo nome). Hai assistito al processo in prima fila, all’inizio ti avevano chiesto se volevi un paravento ma poi hai preferito farti vedere. Una sfida?
Prima avevo un po’ di paura perché non sai mai come reagirai. Poi ho visto queste tre persone, lui e i due albanesi che ha pagato per colpirmi: erano lì con i loro capelli pettinati, i loro vestiti a posto e ho detto: «Non ci siamo!». Non sono una che si piange addosso ma c’è sempre il rischio che si sottovaluti quello che è successo e mi sono fatta vedere, volevo incrociare il suo sguardo.
E quando si è voltato verso di te…
Quando mi ha guardato, non ho provato niente. Lui ha fatto spallucce, un sorrisino, come per dire: «È andata così». Per me ormai era inutile che continuasse con le bugie, me l’ha detto in quel momento quello che aveva fatto. Certo è tutto molto triste, anche per lui. Uno che si deve ridurre in questo modo…
Mi ha molto colpito quando scrivi di una vocina che sentivi dentro di te e ti dava la forza per superare anche le prove più tremende. Da dove veniva?
È successo davvero quand’ero al pronto soccorso. Ho sentito questa voce che mi ha detto: «Luci, stai tranquilla, sopporta quello che c’è da sopportare». Si è creata questa sorta di sintonia tra mente e corpo. La verità è che l’ustione è un’esperienza estrema di grande dolore fisico, enorme, ti porta via la corazza che ti protegge e sei improvvisamente indifesa. C’era un grande dolore da affrontare ma c’era anche una grandissima umanità in questa sofferenza perché io sapevo che stava nascendo la nuova Lucia. Capivo che il dolore fisico era in realtà la chiave della rinascita.
Ti stanno proponendo di tutto, ma hai già dichiarato che non ti presenterai alle elezioni. La Lucia del futuro come sarà?
Si costruisce giorno per giorno, navigo a vista. Di certo vorrei tornare al centro ustioni di Parma e, con la mia esperienza, aiutare i pazienti. Magari commuovermi assieme a loro per far uscire tutte le lacrime che mi sono rimaste ancora dentro. Ora posso permettermi di sfogarmi un po’…
Ti hanno scavato il viso, applicato maschere dolorosissime, eppure non hai mai perso il tuo sense of humour. Impossibile crederlo, ma ti sei anche definita “la regina di acidilandia”.
Se è per questo, ho anche chiesto l’accetta per assomigliare di più al personaggio del film horror Venerdì 13... Mi hanno presa per pazza, ma io sono sempre stata autoironica, è salutare. Non vedevo l’ora che mi operassero la bocca per tornare a sorridere, l’acido me l’aveva praticamente chiusa e non potevo ridere, né mangiare con gusto.
Su questa affermazione brindiamo con vino rosso, divorando uno squisito prosciutto di Parma e gnocco fritto. Incredibile, ma oggi ho ricevuto la più bella lezione di gioia di vivere proprio dalla regina di acidilandia in persona.
So che non sei più voluta tornare a casa tua, quella della vecchia Lucia.
Ci sono tornata solo una volta dopo la sentenza, con il professor Caleffi e la moglie. Insieme a loro è stato più facile riuscire a salire. Ho visto sul pianerottolo le pareti ancora schizzate di acido e ho detto: «Ma quanto me ne ha lanciato?». Ho visto una delle vicine che mi ha soccorso e mi sono commossa. Ma quella casa non la voglio più. Ci sono entrate persone estranee, non mi appartiene più.
Te la senti oggi di vivere sola?
Prima ero una vera solitaria. Ora non so, vivo alla giornata, ho avuto dei momenti in cui ho toccato con mano cos’è la disperazione. In questi casi o ti uccidi o decidi che devi andare avanti per la tua strada... E, come dico sempre, siamo nella realtà e ci tocca attraversarla.