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 2014  aprile 22 Martedì calendario

L’ETERNA SFIDA TRA I RE DELLE PREFERENZE

Alle 16.03 di sabato scorso, il BlackBerry ha fatto tic tac.
Era arrivata una email.
Aprire, leggere.
«Cara Amica, Caro Amico, Ti informo che sono candidato alle Elezioni per il Parlamento europeo nelle liste di FORZA ITALIA del centro Italia (Lazio, Umbria, Marche, Toscana). Se voti il mio partito e intendi darmi una mano contatta la mia segreteria allo 06/40801981. Grazie di cuore e buona Pasqua a Te e alla Tua famiglia. Firmato: Luciano Ciocchetti».
Generoso con le maiuscole, garbato, appena un filo invadente, Luciano Ciocchetti scatena la caccia alle preferenze e dichiara ufficialmente aperta la campagna elettorale per le prossime Elezioni europee.
Ciocchetti, 56 anni, nel genere, è il prototipo del piccolo fuoriclasse locale: ex Dc, ex Udc, senza impacci per la forte somiglianza con il comico ciociaro Martufello, ha costruito la sua carriera girando pazientemente tutti gli oratori di Roma e del Lazio, e anche gli ospedali, e i depositi dei tram, e sempre per fare una buona promessa a tutti. Adesso, però, le promesse le fa anche e soprattutto sul suo sito (meno campi nomadi, meno rifiuti, meno prostitute): perché Ciocchetti ha capito che la nuova strada da battere, per trovare voti — a Silvio Berlusconi ne avrebbe promessi oltre 30 mila — è quella del web.
(Alfredo Vito oggi ha 68 anni e si è ritirato dalla politica: ma fu a lungo un formidabile rastrellatore di preferenze nell’hinterland napoletano, che contendeva al suo avversario, Francesco Patriarca detto «don Ciccio ‘a promessa»; lui, Alfredo Vito, era invece stato soprannominato «Vito ‘a sogliola», per l’eccezionale capacità mimetica di appiattirsi nelle acque della dicì partenopea dell’epoca, dove navigavano due balene come Antonio Gava e Paolo Cirino Pomicino.
Nel 1992, lei ottenne 104.532 voti. E senza un manifesto. Senza un’apparizione televisiva.
«Quella stagione è irripetibile. Il fatto che ormai da oltre un decennio i parlamentari vengano eletti con liste rigide ha troncato ogni rapporto con il territorio...».
Lei disse a Gian Antonio Stella: se vedo una faccia, non la scordo.
«Sapevo a memoria i nomi di tutti. Non avevamo Internet. Dovevo fidarmi solo della mia testa. Allo spoglio, per dire, ero capace di sommare a mente i voti di 50 seggi».
Lei non aveva staff.
«In pratica, ero solo. Ma non sbagliavo. Sapevo sempre chi avevo di fronte, chi era quello che mi assicurava voti. Oggi sarebbe impossibile. Un tempo, il mafioso, il camorrista ce l’aveva scritto in faccia che teneva la pistola in tasca: oggi hanno facce pulite e vestono come impiegati. E si infiltrano, e sono pericolosi, e possono rovinarti la carriera» ).
I rapporti personali erano decisivi. I politici venivano trattati come monarchi. Vito Lattanzio in Puglia, Remo Gaspari in Abruzzo, Ferdinando Scajola (il padre di Claudio) in Liguria, Giulio Andreotti nel Lazio. Andreotti faceva asfaltare strade, apriva caserme, inaugurava fabbriche. Una volta, polemizzando in modo brusco, Craxi gli disse: «Senti, questo però devi andarlo a raccontare ai pecorai amici tuoi...». Due ore dopo, Franco Evangelisti, braccio destro politico di Andreotti, fece intervenire duramente l’associazione degli allevatori della provincia di Frosinone.
Il braccio destro elettorale di Andreotti era invece un ex picchiatore fascista: Vittorio Sbardella detto «lo squalo»; uno che liquidava i critici citando, compiaciuto, quella che invece era stata una tragica riflessione di Rino Formica, gentiluomo socialista: «La politica è sangue e merda». La politica che, in cambio di un voto, faceva assumere un figlio nell’azienda dei trasporti locali, una figlia all’ospedale, e a te faceva aprire un bar (con una tecnica simile, negli anni Cinquanta, Achille Lauro era finito nella leggenda: candidato sindaco di Napoli, aveva regalato solo la scarpa destra, promettendo la sinistra in caso di elezione).
Regola di ferro: tu mi dài, io ti do. Così c’è stato un tempo in cui i politici schedavano — letteralmente — i propri elettori. Se andavi a trovare Totò Cuffaro nel suo ufficio — Cuffaro dal gennaio del 2011 sta scontando una condanna a 7 anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra — subito ti mostrava la preziosa cartella. Raccontò a Sebastiano Messina: «Anche le suore sono con me. Le “Collegine”, le suore del Collegio di Maria, in Sicilia hanno cinquanta istituti. Ne scelga uno a caso, ci vada e chieda per chi hanno votato. Le diranno: Totò Cuffaro».
(Clemente Mastella e sua moglie Sandra Lonardo saranno processati insieme con altri quindici imputati: sono tutti accusati di associazione per delinquere. Un’associazione che, secondo la tesi sostenuta dalla Procura di Napoli, aveva un nome ben preciso: Udeur.
Il partito è comunque stato sciolto da tempo e Mastella, ormai, si candida a titolo personale; anche stavolta Berlusconi l’ha voluto nella lista Sud per le Europee. Perché la sua forza restano, come scrisse genialmente Gianpaolo Pansa, le «truppe mastellate».
«Eh... I giudici mi attaccano e cercano di distruggermi, ma io ho una risorsa che nessun tribunale potrà mai togliermi...».
Sarebbe?
«Il rapporto umano con i miei elettori».
Ecco, appunto: come riesce a controllarli?
«Ah, no, non ci siamo... perché io non controllo, io mi metto alla pari. Vede, quasi tutti i miei colleghi disdegnano, snobbano la gente comune. Io, al contrario, tengo la porta di casa, qui a Ceppaloni, sempre aperta. Chiunque può entrare e...».
E quando entrano?
«Certi mi chiedono un consiglio. Clemé, tu che faresti? E io sto lì, ascolto, rifletto e poi, se posso, suggerisco. Però, nel frattempo, sa che faccio? Chiamo Sandra e quella arriva e porta una bella fetta di pastiera...».
Servono pazienza e abilità.
«Più pazienza. Perché questo è un lavoro che non devi fare l’ultima settimana prima del voto, ma tutto l’anno. Devi esserci sempre, per i tuoi elettori. Devi partecipare ai loro dolori e alle loro gioie... magari non proprio a tutte le gioie, però: per dire, con i battesimi e le comunioni ho chiuso. Un po’ perché mi cominciavano a costare troppi soldi in regali, un po’ perché io sono cattolico e non mi piaceva la cosa di utilizzare una cerimonia sacra per prendermi qualche voto».
Comunque, tenere la porta di casa sempre aperta, come sospettano i magistrati di Napoli, è pericoloso...
«Un po’, sì, è rischioso. Ma siccome io sono limpido, metto le mani avanti: alt, no, io i voti della camorra non li voglio!»).
Si possono rifiutare i voti della mafia, ma solo quelli. E così: grande curiosità per capire dove verranno convogliate le preferenze che controllava Franco «Batman» Fiorito, mitico satrapo berlusconiano travolto dalla scandalo alla Regione Lazio, e dubbi non forti ma fortissimi sui principi dei voti del Pd in Puglia e Campania, Michele Emiliano e Vincenzo De Luca — entrambi tagliati fuori dalle liste — che, furibondi e vendicativi, potrebbero non appoggiare la capolista Pina Picierno.
Inutile chiedersi cosa farà del suo pacchetto di preferenze Vladimiro Crisafulli detto Mirello, scomodo signore delle tessere democratiche a Enna. «Le mie non sono clientele. Io dono affetto. Cosa si può volere da uno come me?».
Fabrizio Roncone