Claudio Tito, la Repubblica 20/4/2014, 20 aprile 2014
RENZI: ORA AIUTI ALLE FAMIGLIE
[Intervista a Matteo Renzi] –
Io voglio ridare fiducia all’Italia. Voglio che a Bruxelles e nelle altri capitali dell’Unione si dica: “Ecco, finalmente l’Italia è tornata in Europa”». Matteo Renzi traccia un bilancio di questi primi 58 giorni di governo. E rilancia. Mette nero su bianco la road map del suo esecutivo nei prossimi sei mesi. Da un nuovo intervento sulle tasse con il “quoziente familiare” da inserire nella delega fiscale alla riforma della giustizia, civile e penale. Mai più leggi ad personam. Ma anche interventi sui Tar perché «il loro sistema non funziona».
Dalle misure per la pubblica amministrazione con «l’identità digitale» che consentirà a tutti il disbrigo delle pratiche burocratiche da casa all’introduzione del principio della “total disclosure”: la desecretazione dei documenti di alcune delle vicende più drammatiche della storia d’Italia come le stragi di Piazza Fontana, dell’Italicum e di Bologna. La base restano le modifiche alla Costituzione e la legge elettorale, per le quali il premier vuole rispettare i tempi fissati. Perché «vorrei un Paese moderno». Per questo «serve una rivoluzione» e soprattutto tempo: «Al voto ci torneremo nel 2018.
Anche Berlusconi lo sa».
Intanto in molti sospettano che ci siano problemi di copertura al decreto Irpef approvato venerdì scorso.
«E’ un falso problema. Siamo stati molto rigorosi. Merito di Padoan e Delrio aver seguito una linea prudenziale. Abbiamo abbassato la stima di crescita del Pil dall’1,1 del precedente governo allo 08,%. Se non lo avessimo fatto avremmo avuto 5 miliardi in più».
Eppure il nodo delle voci una tantum resta.
«Ci sono misure una tantum ma sono indicate anche quelle strutturali. Dopo accese discussioni sull’Iva e sull’evasione abbiamo sottostimato gli introiti ragionando in modo scrupoloso».
Beppe Grillo ha messo nel suo mirino lei e proprio il provvedimento di venerdì.
«E’ divertente come un tempo. Fino a una settimana fa mi accusava di essere il governo della banche e oggi le sue dichiarazioni sono andate a braccetto con quelle dell’Abi. Fino a una settimana fa mi accusava di aver fatto inciuci con Berlusconi e oggi ripete le cose che dice Forza Italia. Lui urla, noi ragioniamo. Lui punta sulla rabbia,noi sulla speranza».
Le banche in effetti non hanno preso bene il decreto.
«Pagano le stesse tasse di tutti gli altri italiani, il 26%. Chiediamo solo di pagare le tasse come tutti. Nessuna crociata demagogica: io so che la banche sono importanti. Ma le regole valgono per tutti: non c’è qualcuno più uguale degli altri. Noi andiamo avanti ma per rendere tutto attuabile abbiamo bisogno di una condizione preliminare».
Ossia?
«Mantenere credibilità sui mercati. Sarà possibile se resta alta l’attenzione sulle riforme. Su tutte le riforme. Se ci riusciamo, allora, presto potremo allargare il taglio delle tasse agli incapienti, alle partita Iva e ai pensionati ad esempio. Ma per il momento faccio notare a chi mi accusava di fare solo televendite che abbiamo mantenuto le promesse. Come diceva Franco Califano, tutto il resto è noia».
Abbassare le tasse ulteriormente? Come? Già con la prossima delega fiscale?
«Piano piano sarà tutto più chiaro. Abbiamo messo la cornice del puzzle, per i tasselli abbiamo bisogno di qualche settimana. Ma la rivoluzione è appena iniziata, gli 80 euro (e l’Irap) sono l’antipasto. E mi fa ridere chi mi accusa di aver approvato quest’ultimo decreto per motivi elettorali. I soldi nelle buste paga degli italiani, arrivano dopo le elezioni, non prima. In ogni caso, la delega serve per cambiare il nostro Fisco ma – so che qualcuno si stupirà – la priorità non è il semplice abbassamento delle imposte. E lo dice uno che ha sempre tagliato le tasse, in Provincia con l’Ipt, in Comune con l’addizionale Irpef più bassa d’Italia e ora al governo con il bonus. No, la priorità è fare le cose semplici: dare certezze di tempi e procedure. La priorità fiscale è semplificare il sistema».
Scusi, ma questi sono slogan.
«Altro che slogan. Manderemo a casa di 32 milioni di italiani un modulo precompilato e con un clic faranno la dichiarazione dei redditi. Non è pensabile che per pagare le tasse ci voglia un esperto».
Quindi non una revisione delle aliquote?
«Non credo. Però, già nella delega, vorrei provare ad entrare in una nuova logica. Negli 80 euro che noi daremo da maggio, c’è un elemento di debolezza. Ottanta euro dati ad un single hanno un impatto diverso rispetto ad un padre di famiglia monoreddito con 4 figli. Dobbiamo porci questo problema».
Parla del quoziente familiare?
«Qualcosa del genere. Ne discuteremo con gli esperti e con la maggioranza. Ma l’Iguariglia.
talia non si può permettere il lusso di trattare male chi fa figli».
Per qualcuno è una battaglia di destra.
«È un ritornello cui ormai sono abituato. Ma non sono d’accordo. È di destra dare più soldi a chi ha meno? Nessun rinnovo contrattuale sindacale ha mai dato ai lavoratori quello che abbiamo dato noi con il decreto Irpef. È di destra lavorare per la parità di genere? È di destra innovare la Pubblica amministrazione? È di destra stanziare 3,5 miliardi per la scuola e approvare le risorse per gli alluvionati? E se ero di sinistra che dovevo fare? L’esproprio proletario? La verità è che l’impronta del Pd in questa manovra è evidente. Compreso l’elemento etico di porre un tetto agli stipendi. L’equità sociale non si fa con i convegni, ma con le scelte di governo».
Anche la lotta all’evasione fiscale, però, presenta un carattere etico.
«Si ma non la si combatte con nuove norme. Serve la volontà politica. Ci si riesce se c’è la voglia di incrociare i dati, perseguire i colpevoli. Altrimenti si cade come spesso accade in Italia nel “benaltrismo”. Lo spazio per contrastare l’evasione è ampio. Serve un uso massiccio della tecnologia».
Magari anche più controlli.
«È una logica parziale. Rafforza l’idea che l’Agenza delle Entrate è il nemico. E invece deve essere un partner, un amico. Naturalmente chi imbroglia e froda deve essere punito. Anche pesantemente. Ma per il resto l’Agenzia deve aiutare. La lotta all’evasione non si fa con i controlli spettacolari sul Ponte Vecchio. Siamo nel 2014. Lo Stato, se vuole, sa tutto di tutti. Rispettando la privacy, vogliamo finalmente fare sul serio? C’è solo bisogno di invertire la logica in tutta la Pubblica amministrazione».
In che senso?
«Lo Stato deve essere al servizio del cittadino. Troppi enti fanno troppe cose e male. Vanno ridotti e questo non vuol dire licenziare i dipendenti. Abbiamo ridotto le auto blu come nessuno ha mai fatto prima e gli autisti tornano a fare i poliziotti. Lo stesso criterio vale per gli altri».
Quando si parla di riforma della Pubblica amministrazione non si capisce mai cosa ci guadagna il cittadino.
«Entro un anno daremo una “identità digitale” a tutti. Per capirci: daremo un pin a ogni italiano e userà quel codice per entrare in tutti gli uffici della pubblica amministrazione restando a casa. Tutti gli enti avranno un unico riferimento. Gli italiani non dovranno più fare file al comune o in circoscrizione o in un ministero per risolvere questioni banali. Cerco di spiegarmi con una metafora. È come se oggi funzionasse così: ciascuna amministrazione parla una lingua diversa e il cittadino deve pagare i costi di traduzione. Noi costringeremo tutti a parlare con una lingua sola».
Si potrà pagare una multa o prenotare una visita alla Asl?
«Tutto. Con quel pin potranno pagare le multe o le tasse, prenotare una vista all’Asl o disbrigare le pratiche della giustizia. Non si dovrà più perdere la testa dietro i burocrati. Ma c’è di più vorrei introdurre il principio della “total disclosure”».
Cioè trasparenza.
«Totale. Venerdi al Cisr – il Comitato per la sicurezza nazionale – accogliendo un suggerimento del sottosegretario Minniti e dell’ambasciatore Massolo, responsabile del Dis, abbiamo deciso di desecretare gli atti delle principale vicende che hanno colpito il nostro Paese e trasferirli all’Archivio di Stato. Per essere chiari: tutti i documenti delle stragi di Piazza Fontana, dell’Italicum o della bomba di Bologna. Lo faremo nelle prossime settimane. Vogliamo cambiare verso in senso profondo e radicale».
Forse, però, è il momento di una riforma della giustizia.
«A giugno, dopo le elezioni. Ascolteremo tutti e la faremo con la massima serietà. Lo spread che ci divide su questo versante con gli altri paesi è enorme. Iniziamo allora con il processo civile telematico».
Va bene la riforma della giustizia civile, ma ammetterà che quella politicamente più sensibile riguarda il processo penale.
«Anche quello, senza interventi ad personam che hanno segnato la sconfitta della politica in questi anni. C’è anche la giustizia amministrativa. Il sistema dei Tar non funziona come dovrebbe. Dobbiamo fare un riflessione anche su questo».
Ha cominciato tagliando gli stipendi ai magistrati.
«Stimo e rispetto la stragrande maggioranza dei magistrati. Sono dei servitori dello Stato, spesso straordinari. Ma continuo a non capire perché in fase di discussione di una legge, alcuni di loro debbano intervenire con un tono superficiale e minaccioso. Se vale il principio sacrosanto per cui le sentenze si rispettano e non si commentano, con quale logica loro intervengono sulla formazione delle leggi? Non è indispensabile che un giudice o un pm guadagni più di 240 mila euro l’anno. Non è un disastro sociale. Se l’Anm ci attacca per questo sono preoccupato per loro. Resta incredibile che chi guadagna 20 volte più dello stipendio medio degli italiani, si lamenti. È un attacco preventivo e ingiustificato. Mi hanno detto: guai ad attaccare i magistrati. Infatti non li attacco. Ma difendo il mio governo e la dignità dei dipendenti pubblici. Cosa dovrebbe dire un professore che guadagna 1300 euro al mese?».
Per fare tutto questo serve tempo.
«E infatti questa legislatura durerà fino al 2018. Ci scommetto».
Berlusconi mica tanto.
«Forse non in pubblico, ma secondo me lo sa anche lui. In ogni caso nel nostro Paese sta tornando la speranza. Adesso se riusciamo a sbloccare l’incantesimo, accadrà una cosa straordinaria: in Europa torna l’Italia autorevole e combattiva. A quel punto, le assicuro, ci divertiremo».
Claudio Tito, la Repubblica 20/4/2014