Eleonora Degano, pagina99 19/4/2014, 19 aprile 2014
MORTE ASSISTITA L’80% RINUNCIA
“Martedì ha saputo, venerdì era morta”. Titola così Ticinonews la storia di una donna svizzera che, scoperto di avere un tumore, avrebbe ottenuto il suicidio assistito in tre giorni rivolgendosi all’associazione Exit. È davvero un percorso così rapido, che può iniziare e concludersi nel giro di una settimana senza lasciar spazio a riflessioni ed eventuali ripensamenti?
«L’articolo è un esempio di giornalismo poco serio» commenta Ernesto Streit, portavoce dell’associazione. «Ho fornito al giornalista i dati relativi al 2013, quando su oltre 2.000 richieste di accompagnamento ne sono state portate a termine 456. Gli ho riportato i dettagli sulla documentazione, sulla ricetta per il barbiturico e sulle tempistiche, spiegando che in casi particolari il percorso può essere veloce, ma difficilmente inferiore alle tre settimane. Parlare di un’assistenza al suicidio durata tre giorni è una bufala».
Disinformazione di questo genere non aiuta la causa del suicidio assistito, né la battaglia combattuta in molti stati, Italia compresa, per ottenere una legislazione adeguata al riguardo. Come spiega Streit, ottenere l’accompagnamento in poche settimane è possibile, ma solo per pazienti che sono membri di Exit già da anni, e che pertanto si sono confrontati a lungo con la tematica della morte volontaria. L’associazione è stata fondata nel 1982, e conta oggi oltre 70.000 iscritti.
Per accedere all’accompagnamento, la documentazione consegnata a Exit deve essere attuale e redatta da un medico: comprende un certificato che dimostri la capacità di intendere e di volere del paziente, la diagnosi che ne attesta le condizioni di salute e la ricetta per il barbiturico.
Opinione di molti è che i termini per accedere al suicidio assistito siano pericolosamente liberi all’interpretazione, e che le persone, specialmente anziani, vi si avvicinino in quanto “stanche di vivere” senza essere affette da gravi patologie. Il percorso, in realtà, è molto più complesso. «L’accompagnamento viene reso possibile in caso di prognosi priva di speranza, di dolori o menomazioni insopportabili» spiega Streit. «Alcuni esempi sono tumori, sclerosi laterale amiotrofica (SLA), dolori che non possono essere leniti dalla medicina palliativa. Per quanto riguarda la ridotta qualità della vita, si valuta caso per caso: per una persona tetraplegica, ad esempio, l’accompagnamento può essere fatto».
Come ci si comporta se la patologia è invece di natura psichica? «In caso di depressione richiediamo due diagnosi, che devono essere redatte da medici diversi, e due certificati che attestino la capacità di intendere e di volere del soggetto, redatti da psichiatri», spiega Streit. Per stilare questi documenti, i medici seguono i pazienti per periodi anche superiori a un anno. «Spesso, in una persona depressa, viene a mancare la persistente volontà di morire, e questo è un requisito fondamentale». In caso siano presenti altre tipologie di problemi psichici, tuttavia, il desiderio di morte può essere un sintomo della malattia stessa, e questo esclude la possibilità di un suicidio assistito.
«L’iscrizione a Exit dà diritto a depositare un testamento biologico, che viene reso accessibile al mondo intero. Exit si impegna ad aiutare il paziente e i suoi familiari a far rispettare le volontà espresse, sia tramite colloqui con i medici sia con aiuto di natura giuridica», spiega Streit. «In qualsiasi momento forniamo ai nostri iscritti supporto e consulenze e, se viene richiesto, procediamo con l’apertura della pratica per l’accompagnamento al suicidio e forniamo l’assistenza al suicidio stesso». Per chi è membro di Exit da almeno tre anni, la quota associativa complessiva (circa 100 franchi svizzeri) copre tutte le spese tranne quelle funerarie.
Se il paziente ottiene l’assistenza al suicidio riceve delle visite da parte degli accompagnatori di Exit, che ne verificano la ferma e costante intenzione di morire. Gli vengono illustrate le alternative, specialmente cure mediche o medicina palliativa: lo scorso anno, in questo modo, l’80% delle persone è stato dissuaso e ha continuato a vivere. Se i pazienti sono invece fermamente decisi e la documentazione è in regola, si procede all’accompagnamento.
Nessuna iniezione letale, nessun medico che somministra fantomatici farmaci: come previsto dalla legge svizzera il paziente deve essere in grado di bere il barbiturico, il Pentobarbital, autonomamente. Se è affetto da malattie che gli impediscono di bere dal bicchiere gli viene fornita una cannuccia, se è munito di sondino gastrico assumerà il barbiturico tramite sondino. «Solitamente l’assistenza si svolge a casa del paziente, in rarissimi casi nelle strutture di cura o presso Exit a Zurigo – conclude Streit – il tutto in presenza di un nostro accompagnatore o accompagnatrice, che fino alla fine verifica non vi siano ripensamenti. Post mortem un medico legale effettua i dovuti controlli, e ispettori di polizia si accertano che l’assistenza al suicidio sia avvenuta nel rispetto della legge svizzera».