Sara Gandolfi, Sette 18/4/2014, 18 aprile 2014
CANI: INTELLIGENTI E INNAMORATI, COME BAMBINI
Callie forse all’inizio non era troppo convinta. Doveva infilarsi in quella strana macchina montata in salotto, infilarsi un paio di cuffie e stare ferma. Ma il padrone, che in un passato non troppo lontano l’aveva tirata fuori dal canile, anche quella volta è stato convincente. Un po’ di coccole, molti biscotti e Callie, docile incrocio di Black Terrier, si è prestata al gioco. Dopo di lei, altri cani si sono infilati in quell’aggeggio. È così che Gregory Berns, neurologo e psichiatra di solito impegnato a studiare i processi decisionali in economia, ha per la prima volta fatto entrare la scienza nel cervello di un cane vivo. Con risultati sorprendenti. «I test effettuati con risonanza magnetica funzionale (che misura l’attività cerebrale) dimostrano che quando presentiamo ai cani cose che a loro piacciono, come il cibo o l’odore di un essere umano che vive con loro, si attiva una parte del cervello, il nucleo caudato, associato alla ricompensa e all’anticipazione del piacere. Negli esseri umani si attivano risposte simili nella stessa parte del cervello quando una persona riceve denaro, vede qualcuno che ama o ascolta la musica preferita», spiega il professore di neuroeconomia all’Emery University di A-tlanta, che ha pubblicato la sua ricerca su Behavioural Processes e il libro How dogs love us (Come ci amano i cani). «Quando si “accende” il nucleo caudato, il soggetto, cane o umano che sia, sta anticipando qualcosa di buono, si prepara al piacere. È amore? Ne costituisce certamente un aspetto, anche se non così complesso come ciò che gli umani intendono con la parola Amore». La scoperta di Berns potrebbe peraltro trovare riscontro anche in altri animali: «Le aree del cervello che stiamo studiando si trovano in tutti i mammiferi e anche negli uccelli. I cani, però, sono i più disposti a collaborare con l’uomo e a farsi fare una risonanza magnetica».
Oltre la barriera tra le specie. Chi possiede un cane lo sa. Come scrisse all’inizio del secolo scorso il premio Nobel Maurice Maeterlinck, nel suo straordinario racconto Il mio cane (Elliot Edizioni): «L’uomo ama il cane, ma lo amerebbe molto di più se si fermasse a riflettere su quale unica eccezione, nell’inflessibile insieme delle leggi della natura, rappresenta questo sentimento capace di spezzare, per avvicinarsi a noi, le barriere che separano le specie, indistruttibili per ogni altro essere!». Gli umani forniscono ai cani il cibo, ma questo spiega solo in parte il rapporto speciale che essi instaurano con noi. Una volta che i loro bisogni nutrizionali sono soddisfatti, ottengono piacere dai legami sociali per le stesse ragioni che spingono gli esseri umani a socializzare: è reciprocamente vantaggioso avere amici. Berns non si sbilancia fino a dire che i cani condividono anche le emozioni dei loro amici bipedi, come l’angoscia o la felicità (anche se molti proprietari ne sono certi), piuttosto si dichiara d’accordo con la teoria di Darwin sulla continuità evolutiva: «Poiché i cani hanno condiviso la nostra cultura più di qualsiasi altro animale, è probabile che si siano evoluti meccanismi che consentono loro di provare, se non di capire, alcune delle nostre emozioni. Non so fino a che punto provino empatia, ma sono sicuro che sperimentano emozioni di base come gioia, paura, ansia, e probabilmente captano questi stati d’animo negli esseri umani».
Siamo solo agli inizi della ricerca neuroscientifica sui cani che però ha ormai provato come abbiano una capacità senziente simile a quella di un bambino. Il prossimo passo, per Berns, sarà comprendere meglio il loro sistema visivo, quanta parte del piacere che provano è dovuta al cibo e quanta alla “ricompensa sociale”, come opera il loro self-control... Altri centri di ricerca sono all’opera su queste e altre tematiche. Al Purdue University College in Indiana hanno scoperto che i cani e le persone affette da disordine ossessivo-compulsivo hanno le stesse anomalie cerebrali, e ciò potrebbe aiutare la ricerca medica a capire e trattare meglio l’ansia, così come i cani anziani affetti da forme animali della sindrome d’Alzheimer vengono già utilizzati come modelli per comprendere meglio la malattia degenerativa negli umani. All’Accademia di scienze ungherese hanno invece scoperto che anche nel cervello dei cani, come in quello umano, esistono specifiche “aree vocali” che permettono loro di riconoscere la voce del padrone e, dal tono usato, se egli è felice o triste (studio su Current Biology). Una ricerca presentata alla convenzione dell’American Psychological Association ha invece dimostrato che i cani possono capire fino a 250 parole e gesti, contare fino a 5 e svolgere semplici esercizi di matematica.
Alla facoltà di Veterinaria dell’Università degli Studi a Milano c’è un ambulatorio che ogni anno visita un centinaio di cani – ansiosi, disturbati o solo spaventati – e consiglia i padroni su come gestire al meglio i loro comportamenti anomali. La responsabile, dottoressa Clara Palestrini, cerca di entrare nella mente degli animali osservandoli e parlando a lungo con chi vive con loro («Esperimenti come quelli del professor Berns con la risonanza magnetica qui non ce li possiamo permettere», ammette con un sorriso). «Portare il cane dal medico veterinario comportamentalista era qualcosa di impensabile fino a qualche anno fa mentre ora molti proprietari si rivolgono a noi perché sono preoccupati di capire il proprio cane. Solo il 5% viene obbligatoriamente, dietro ordinanza, perché il cane ha morso qualcuno o ucciso un altro cane». Maggiore attenzione, dunque, alle esigenze e alle turbe degli animali. Però aumentano anche gli eccessi, «come i barboncini rosa con le perline alle orecchie: così si svilisce il cane, non si apprezza più la sua vera natura».
Il rapporto fra uomo e animale rischia di diventare sempre più estremo: c’è chi li ama al punto da condividere con loro anche il lettone – «il che di per sé non è un problema finché non crea anomalie comportamentali: per esempio, se il cane ringhia al padrone quando questo lo fa scendere» – e chi non perde occasione per esprimere disagio o addirittura disgusto verso “il miglior amico dell’uomo”. «È evidente una maggiore intolleranza rispetto al passato, anche perché i cani sono di più e quindi sporcano tanto», riconosce l’etologa, ma questo è un problema sociale che chiama in causa più i padroni che gli animali, i quali, se ben addestrati, imparano in fretta le regole della convivenza. «Il cane ha sempre visto l’uomo e la sua organizzazione sociale come un punto di riferimento, e comunque l’uomo rappresenta la sua principale fonte di cibo e di riparo. Il legame d’attaccamento, che è un’evoluzione del legame affettivo, è stato provato scientificamente. La risposta comportamentale del cane verso il padrone è simile a quella dell’infante verso la madre: indipendentemente da come viene trattato, ricerca il contatto, perché esso aumenta anche le sue chance di sopravvivenza».
Su una cosa i veterinari sono concordi: più della punizione, funziona il rinforzo positivo, che ignora il comportamento sbagliato e premia quello giusto, con cibo o coccole. Il piacere, insomma, fa molto più delle botte.
Anche i cani soffrono. Gli errori peggiori? «Quelli di comunicazione e l’incoerenza. Pretendere di relazionarsi come se il cane fosse un essere umano», conclude Palestrini. «In realtà i cani ci “leggono molto bene”, comprendono il linguaggio posturale dell’uomo e il tono della voce, ma capiscono il significato semantico solo di pochissime parole. Immaginate che siano come una persona in un Paese straniero: se si avvicina un tipo con fare e tono minaccioso, che urla parole incomprensibili, lo spavento è immediato. Viceversa se uno si pone con una postura normale e usa un tono dolce, il cane si rilassa». Ancora più diseducativi gli episodi di incoerenza: «Non posso compiacermi delle feste del cane solo quando sono vestito in tuta, e cacciarlo quando sono in tailleur: il cane non sa più qual è il comportamento giusto».
E se non capisce, soffre. «Ci sono parametri scientifici che misurano il benessere, in loro assenza evidentemente c’è la sofferenza. Poi si può discutere se gli aggettivi che utilizziamo per descrivere la nostra sofferenza possano essere utilizzati anche per i cani. Noi viviamo dolore, fame, angoscia come concetti di conscia consapevolezza; se questa consapevolezza dell’emozione che sto provando ci sia anche negli animali non mi risulta che sia mai stato scoperto. Ma mi piacerebbe che lo fosse».