Osvaldo De Paolini, Il Messaggero 20/4/2014, 20 aprile 2014
CONSULTA, I MAGISTRATI D’ELITE NON INVESTITITI DALLA RIFORMA
ROMA I dirigenti della Pubblica amministrazione aspettano che sui loro stipendi cada la falce di Matteo Renzi. Anche gli ambasciatori sono in attesa. E da ieri l’ansia da taglio circola anche tra i magistrati che guadagnano più di 240 mila euro. Tra loro, chi deve temere di più sono i giudici amministrativi, in particolare i consiglieri di Stato e i membri della Corte dei conti, figure privilegiate che possono ancora cumulare cariche e prebende. Ma nemmeno loro sono i «più privilegiati». C’è un caso ancora più unico: quello dei giudici della Corte costituzionale. I quali - in verità non tutti - continuano a cumulare la pensione con l’emolumento collegato al ruolo.
E non sono piccoli numeri. Il compenso dei membri della Consulta è di 465 mila euro l’anno. Lordi, beninteso. Solo il presidente vola oltre 560 mila euro, e visto che tutti a turno si fanno un passaggio sullo scranno più alto - per una prassi indecorosa benché legale - hanno tutti almeno un anno di stipendio stellare. Cui si aggiungono pensioni che sicuramente superano, e non di poco, 150mila euro l’anno.
IL CONSIGLIO DI STATO
Cumulo legittimo? La norma parla chiaro a proposito del compenso: «Tale trattamento sostituisce ed assorbe quello che ciascuno nella sua qualità di funzionario di Stato o di altro ente pubblico, in servizio o a riposo, aveva prima della nomina a giudice della Corte». In servizio o a riposo vuole dire stipendio o pensione. La norma è stata scritta nel marzo 1953 (legge numero 87) e nel tempo è finita sepolta sotto la proliferazione legislativa che conosciamo. Nondimeno, è tuttora valida e vigente. E tuttavia trascurata proprio da coloro che hanno il compito più alto quali custodi della Carta.
Sessant’anni prima del colpo di scure calato dal governo Letta con la legge di Stabilità approvata il 27 dicembre 2013, nel nostro ordinamento era dunque già indicato un esplicito divieto di cumulo, benché riservato ai custodi della Carta. Per dare un esempio, forse. Affinché gli interpreti della Costituzione potessero essere sacerdoti, certo ben pagati, ma esclusivisti nel loro servizio altissimo alle istituzioni.
In ogni caso, la legge di Stabilità dello scorso anno definiva il divieto di cumulo con uno spettro assai largo, da taluno persino criticato per non distinguere ruoli e funzioni in un indistinto obiettivo di tagli ad ogni costo. Nel giro di due settimane, il tempo di far passare le feste di Natale e Capodanno, l’Ufficio di Presidenza della Corte costituzionale, nella seduta del 15 gennaio 2014, decise che la legge di Stabilità non avrebbe dovuto produrre effetti nei confronti dei giudici costituzionali in carica. Salvi.
Sì, ma la legge del 1953? Nel 1977 la quarta sezione del Consiglio di Stato in verità si pronunciò sul tema del cumulo tra retribuzione del giudice costituzionale e trattamento pensionistico per il precedente servizio. Inutile dire in quale direzione si mosse la pronuncia. Non si vuole essere maliziosi, certo non depone a favore della trasparenza che dal Consiglio di Stato provengano molti membri del «sacro collegio». Cane non mangia cane. Per sovrappiù, la legge del 1953 non è mai stata abolita. È viva, impolverata ma vegeta. Naturalmente, per chi la vuole rammentare.
In effetti, due dei 15 attuali giudici costituzionali se ne sono ricordati. Almeno altri sei no. Per esempio, il vicepresidente della Consulta, Luigi Mazzella, riceve una lauta (è ragionevole crederlo) pensione dal 27 giugno 2005, cui somma dal 28 giugno dello stesso anno la retribuzione di 465mila euro. Giuseppe Tesauro andò in pensione il 9 marzo 2005 e dal 4 novembre di quello stesso anno aggiunge il cospicuo trattamento economico della Consulta senza rinunciare al primo, come la legge del 1953 imporrebbe. Analoga situazione per Alessandro Criscuolo, Giorgio Lattanzi, Sergio Mattarella e Mario Rosario Morelli. Le due eccezioni sono quelle di Paolo Grossi e Giuliano Amato: il professore di storia del diritto italiano rinunciò alla pensione pochi mesi dopo la nomina alla Consulta, avvenuta nel febbraio 2009; persino più tempestivo l’ex premier, che subito congelò la pur cospicua pensione accontentandosi dell’assegno della Corte, per la quale giurò il 18 settembre del 2013.
Impossibile immaginare che non ci sia un cavillo - oltre alla citata e datata sentenza del Consiglio di Stato - che giustifica, legalizza, autorizza questo ricco cumulo. La Corte Costituzionale è un organo che si autodetermina derivando la sua legittimità dalla stessa Carta che deve preservare. Ma i suoi giudici, benché chiamati a una magistratura superiore, sono cittadini italiani, che ci si aspetta vivano nello stesso Paese nel quale si pongono e impongono ruvide, e forse opportune, norme che vietano il cumulo di più prestazioni. O forse, al netto di benefici che qui omettiamo in dettaglio (auto blu, trasporti gratis, foresteria, telefono e pc, eccetera), quei 465mila euro l’anno non bastano?
Impotente di fronte al principio di autodeterminazione dei custodi della Carta, ieri Renzi ha auspicato che quanti rivestono posizioni analoghe entrino quanto prima nello spirito del tempo. La moral suasion non mancherà, ma se nei prossimi mesi nulla accadrà vorrà dire che oltre che essere la più bella la nostra Carta è anche la più costosa.