Ugo Bertone, Libero 22/4/2014, 22 aprile 2014
I BRIC DOVEVANO CROLLARE HANNO BATTUTO WALL STREET
La crisi della Cina? Per ora preoccupa i vertici di Diageo e di Ricard, i due colossi dei liquori che, assieme a Lvmh, controllano il 95 per cento del mercato del cognac nel paese del Drago. I due colossi del drinks, alla vigilia di Pasqua, hanno accusato forti perdite in Borsa sull’onda della campagna anti sesso facile lanciata a febbraio dal presidente Ji Xingping per colpire la corruzione: niente più karaoke bar e locali con hostess, a partire da Donguan, città industriale del Sud. E così, i consumi di Remy Martin sono scesi del 35%. Alla faccia dei consigli degli esperti per cui il settore alcoolici è per sua natura anticiclico, a prova di crisi economica. Nel frattempo, nonostante le previsioni negative sull’economia cinese, negli ultimi 30 giorni la Borsa di Shanghai chiude con un dignitoso rialzo (+3,5% ). Eppure il pil rallenta (anche se non troppo) e si moltiplicano i casi di obbligazioni a rischio. Ma non preoccupano più.
E che dire dell’Indonesia, uno dei Paesi giudicati più a rischio dopo il cambio di rotta della politica della Federal Reserve? Chi, sfidando l’opinione degli esperti e i report degli analisti, ha avuto il fiuto di puntare sul listino di Giacarta ha messo a segno un rialzo del 14 per cento cui si potrebbe aggiungere l’effeto della robusta rivalutazione della moneta indonesiana: oggi, infatti, per un dollaro bastano 11,300 rupie contro le 12 di gennaio.
Andiamo avanti. A gennaio i listini dei Bric perdevano anche più del 10 per cento e sembravano destinati ad una crisi drammatica. Al contrario, il Brasile, in euro, guadagna più del 3,6 per cento, mentre a Wall Street l’indice Standard & Poor’s 500, dato per sicuro vincente dell’anno finanziario, è sostanzialmente in equilibrio. E che dire della Turchia? Il paese non è precipitato nel caos (come da più parti si era temuto) e Istanbul guadagna quasi il 7 per cento in euro. Anzi, senza che sia cambiato nulla di sostanziale nello scontro istituzionale che lacera il paese, il ministero delle Finanze prepara tranquillamente il lancio di un bond trentennale in dollari, un tipo di operazione che di solito
viene realizzata nei momenti di massima calma e solidità. Intanto il governo ha lanciato un decennale al 4,375 per cento in euro collocato attraverso Deutsche Bank, Ing e JP Morgan. La lira turca, nel frattempo, ha recuperato un buon 10 per cento rispetto ai minimi di gennaio.
Intanto l’Argentina, data per spacciata a metà gennaio è di nuovo in piedi oggi. Con qualche azzeccata mossa e altrettan-
to azzeccate misure tampone della banca centrale, Buenos Aires ha dimostrato di essere ancora in grado di tenere sotto controllo la situazione: i bond in dollari hanno recuperato l’8 per cento dai minimi e il peso si è addirittura rafforzato contro dollaro.
I mercati, con l’eccezione del Micex russo travolto dalla crisi ucraina, hanno smentito le previsioni di inizio anno. E così chi
ha agito con spirito contrarian ha fatto un buon affare. Dai minimi toccati il 5 febbraio scorso l’indice Msci Emerging Markets ha messo a segno un rialzo del 9,6% in dollari. Il rendimento medio dei bond è scivolato da 5,51% di inizio anno al 5,14%. Perché questo rally? Innanzitutto la Fed è riuscita a padroneggiare i tassi dei T bond frenando il temuto rialzo dei rendimenti. Nel frattempo i mercati emergenti hanno dimostrato una solidità ben diversa da quella di altre crisi. Secondo le elaborazioni di Markit, la media dei dividendi pagati dalle azioni inserite nell’indice Emerging Markets è pari quet’ anno al 2,7% sul valore di Borsa, mezzo punto in più rispetto all’1,98% dello Standard & Poor’s 500, in linea con il 2,33% medio del paniere Ftse/Mib di Milano. Ovvero, a differenza che in passato, i mercati emergenti dimostrano fondamentali più solidi e più stabili, con la garanzia di un forte impegno nel sostegno alle valute di riferimento. Il pay out ratio medio delle società dei Bric (Brasile, Russa, India e Cina) è del resto in costante ascesa da tre anni a questa parte.
Non è detto che la primavera duri per molto tempo. Torna a farsi sentire un’euforia pericolosa. In India, vittima di un fuggi fuggi generale la scorsa estate, la settimana scorsa un’emissione in dollari di India Oil per un miliardo ha registrato prenotazioni per 9 miliardi. Il Pakistan ha emesso a sua volta un settennale a cinque anni (due miliardi)aduntassotrail7el’8%con una domanda quattro volte superiore. Numeri che inquietano il Fondo Monetario preoccupato dal boom del debito delle società negli Emergenti: più di 300 miliari di dollari emessi dal 2008 ad oggi, con picchi oltre il 100% per le società cinesi, della Malaysia e dell’Ungheria che ha superato la soglia del 100 per cento del pil.
Insomma, le ragioni per essere prudenti sono più forti che mai. Anche per le scadenze elettorali che incombono dall’India al Brasile atteso alla prova dei Mondiali. Ma in un clima di inflazione quasi zero, con tassi di sviluppo modesti e in calo, i gestori tendono a far girare il denaro a caccia di «occasioni». Come del resto è avvenuto anche a Piazza Affari.