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 2014  aprile 19 Sabato calendario

CRESCITA ZERO: LA DEFLAZIONE SBARCA NELLE BUSTE PAGA


Un momento di pazienza: stiamo arrivando. È il messaggio che l’Istat e la Banca d’Italia hanno inviato ieri ai falchi tedeschi, già inquieti per le decisioni che presto potrebbe prendere la Bce per allentare la stretta che grava sulle economie di quello che alla Bundesbank viene definito il club Med. Ieri è stato toccato il primo traguardo storico: gli stipendi a marzo sono rimasti invariati rispetto a febbraio. Ovvero, a fronte di un tasso di inflazione in frenata, solo lo 0,3%, la busta paga ha perso potere d’acquisto. Certo, non bisogna distrarsi: ci sono categorie, vedi le tlc o l’energia, dove i salari salgono ancora. Sui dodici mesi, poi, si registra addirittura una crescita dell’1,4% delle buste paga, ovvero, al netto dell’inflazione, l’uno per cento tondo. Roba da scialare, insomma, a meno di non avere uno o più disoccupati in casa. Ma non temete: tempo dieci anni di stipendi e di prezzi in calo (grazie al calo dei consumi) e l’Italia, uscita fuori di pista a causa dell’euro, si rimetterà in pista. Così come vuole Werner Sinn, economista di dubbia fama ma di grande presa sull’opinione pubblica tedesca grazie all’influenza che esercita sulla Bild. È lui il divulgatore più popolare della dottrina in voga alla Bundesbank: niente monetizzazione del debito in qualsiasi forma la proponga herr Draghi o qualche cattivo maestro giapponese della Fed. Non si stampa moneta di carta, come fece Faust traviato dal diavolo, ma si stringe la cinghia.
Posizioni, si sa, note da tempo. Il fatto nuovo è che, al di là dei programmi politici e degli straordinari sforzi di Mario Draghi, le cose stanno andando proprio come vuole herr Sinn. Gli stipendi, abbiamo visto, frenano. E non è per niente fantascienza la prospettiva di una riduzione su scala generalizzata delle buste paga, come avvenne
MERCATINO
negli anni Trenta. In parallelo, poi, i prezzi stanno scendeno. È deflazione? In tutto il mondo sostengono di sì, il presidente della Bundesbank continua a ripetere di no: è bene, dice, se i prezzi si sgonfiano in Paesi «troppo cari» come Italia o Spagna. Prima o poi, grazie alla dieta, le cose si raddrizzeranno. Nel frattempo cercate di vendere di più all’estero. Mica facile, a giudicare dai numeri del Bollettino di Banca d’Italia.
Dall’analisi di via Nazionale emerge, infatti, un dato ancor più allarmante della caduta degli stipendi: rispetto al 2012, anno di crisi profonda, la competitività dell’export italiano è scesa di quattro punti «esclusivamente per l’apprezzamento dell’euro». Siamo finiti, insomma, in un circolo vizioso: condannati, assieme ai partner di sventura dell’eurozona, a puntare tutto sull’export senza far conto sui consumi domestici. In
questo modo, però, si crea un surplus commerciale che rafforza l’euro, a scapito della competitività delle merci e dei servizi. E si riparte da capo. Il risultato? L’occupazione, prevede via Nazionale, darà qualche timido segnale di ripresa solo a fine anno, l’inflazione risalirà sopra l’1% al più presto nel 2015. I consumi, intanto, resteranno otto punti sotto il livello del 2007. Non c’è che dire: la cura procede proprio nella direzione voluta da Berlino.
Come inserire in questa cornice le aperture della Bundesbank a «nuovi strumenti»? O, per dirla in altro modo, che spazio di manovra potrà avere ancora Mario Draghi per allentare la stretta? Le aperture di Weidmann coincidono con l’inasprrsi della cisi ucraina che minaccia di provocare grossi danni all’export tedesco. Di qui un’apertura a mosse che possano indebolire la moneta unica. Una svolta nei fatti, più che nei principi, che sarà ritirata se e quando verrà superata l’emergenza che incombe su una situazione economica invidiabile.
In questa cornice Draghi, in piena sintonia con il governatore della Banca d’Inghilterra cioè di un paese che fa parte dell’Unione Europea anche se non dell’eurozona, ha avviato un’offensiva per allargare l’uso di nuovi strumenti di credito, gli Abs, che possano dare una mano alle pmi e rilanciare i consumi favorendo i prestiti auto o i mutui. Non è molto, anche se è già qualcosa. Ma non illudiamoci: sulla navicella europea si parla ancora solo la lingua gradita ai falchi. E lo stipendio, in barba agli 80 euro di Renzi, si restringe.