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 2014  aprile 19 Sabato calendario

CRISI ANCHE PER GLI IMMIGRATI: NON MANDANO PIÙ SOLDI A CASA


Poveri immigrati. O, meglio, poveri anche gli immigrati. Palpabile, concreta e, inevitabilmente, crisi anche per loro, dato che nel 2013 hanno mandato a casa, nei loro Paesi di residenza, qualcosa come 1,3 miliardi di euro in meno dell’anno precedente.
Una brusca flessione, pari al 20 per cento, portata in evidenza da un meticoloso studio della Fondazione Leone Moresca di Mestre, che ha voluto anche puntare i riflettori dell’indagine sulle aree in cui si sono rilevate le variazioni più significative. Ricapitolando. Nel 2013 si è registrato il valore più basso degli ultimi sei anni, sia per quanto riguarda l’ammontare complessivo sia per l’incidenza percentuale sul Pil. 
Il volume delle rimesse nel 2013 è ammontato, infatti a 5,5 miliardi di euro. Se raffrontate al 2012 le rimesse hanno subito una contrazione del 19,5 per cento, percentuale che, tradotta in denaro, significa, appunto, 1,3 miliardi di euro in meno. Anche l’incidenza percentuale sul Pil è diminuita dallo 0,44 per cento allo 0,35 per cento. Fa riflettere il fatto che, ancora nel 2007, anno di inizio della crisi, i lavoratori immigrati in Italia inviavano nei loro Paesi 800 euro in più a testa. Rapportando il volume delle rimesse con la popolazione straniera residente, si osserva che, mediamente, nel 2013 ciascun cittadino straniero ha inviato in patria 1.254 euro, una cifra molto più modesta (-25,1 per cento) rispetto all’anno precedente.
Questi primi risultati si prestano almeno ad un paio di interpretazioni. La prima è senza dubbio la difficoltà anche, se non soprattutto, per gli immigrati, a cavarsela e ad aiutare chi è rimasto in patria a cavarsela, con la crisi in atto, dato che in termini macro economici, le rimesse dei migranti costituiscono un importante fattore di sviluppo e di cooperazione internazionale, perché contribuiscono alla crescita delle economie più arretrate e hanno un impatto molto più immediato perché arrivano direttamente nelle mani delle famiglie che vivono in uno stato di bisogno. Inoltre, su larga scala, l’afflusso delle rimesse rafforza la bilancia nazionale dei pagamenti e riduce la percentuale di debito da esportare. Secondo alcune stime della banca mondiale, infatti, le rimesse ammontano al più del doppio del totale degli aiuti pubblici allo sviluppo e sono seconde solo agli investimenti diretti all’estero. Il secondo aspetto, non meno trascurabile, di questa significativa variazione del flusso di rimesse, è che, proprio dalla difficoltà di inviare denaro all’estero, è derivato, in tempi recenti, anche un maggiore radicamento degli immigrati sul territorio. In buona sostanza, quindi molti immigrati, dovendo affrontare la crisi, hanno comunque preferito farlo fermandosi in Italia. Per mantenere in Italia la propria famiglia e raffrontarsi quotidianamente con la possibilità di effettuare dei risparmi e delle scelte di spesa senza aver l’obbligo quindi di inviare mensilmente ai parenti in patria somme più o meno consistenti.
Ma veniamo alle punte più significative dello studio. La regione più «ricca» anche per i lavoratori immigrati è risultata la Lombardia con 1,18 miliardi di euro di rimesse, anche se con un calo del 18,8 per cento, rispetto al 2012. Roma rimane la provincia con il maggior volume di rimesse (965 milioni di euro), seguita da Milano (675 milioni di euro) e da Napoli (221 milioni di euro). Il Lazio, è la regione che, nel 2013, ha subito il più forte calo nel volume delle rimesse (-47,7 per cento), registrando un totale di 1,06 miliardi di euro, ma cali significativi anche Sicilia (-21 per cento) e Campania (-18,1 per cento). Osservando i valori pro-capite, le prime province sono Prato (5.500 euro per ogni straniero residente) e Catania (4.300 euro pro-capite). Clamoroso il tonfo che riguarda le rimesse verso la Cina: 1,5 miliardi in meno rispetto al 2012. Un calo ancora più significativo se si considera che la Cina da sola percepiva il 39 per cento delle rimesse. Ma è anche vero che se la Cina diminuisce, aumentano sensibilmente altri Paesi dell’Asia meridionale come Sri Lanka (+62 per cento), Bangladesh (+51,7 per cento) e India (+22,6 per cento).