Marco Imarisio, Corriere della Sera 22/4/2014, 22 aprile 2014
STRUMENTO DI RICATTO, SERIALE E FREDDO L’AMBIGUO RAPPORTO TRA GIOVANI E SESSO
Cominciamo dagli esclusi. «Quando l’ho saputo mi sono vergognato di me stesso. Gli ho parlato, con la sensazione di spiegare cose che lui già conosceva. Allora gli ho tolto computer e telefonino, che è come privarlo dell’ossigeno. Ma un istante dopo mi sono chiesto a cosa serviva. A lui manca l’aria, a me mancano le risposte».
Lavora in una azienda edile di Firenze, abita in periferia. A febbraio è stato convocato dai carabinieri che gli hanno mostrato una denuncia dove si parlava del suo unico figlio, che studia in un istituto tecnico e ha 16 anni. Era firmata da una compagna di classe. La ragazza aveva ricevuto un messaggio nella posta di Facebook. Il figlio del muratore la metteva in guardia. «Asseriva che da un mittente sconosciuto erano arrivate su un profilo condiviso con altri utenti alcune foto di lei e di una sua conoscente, entrambe ritratte in pose intime. Diceva altresì che se non avesse consegnato la somma di euro 50.00, lui sarebbe stato costretto dagli amici a divulgare le foto». Non c’erano amici. Il mittente sconosciuto era lui. «Già noto ad altri uffici» per episodi simili. Oggi non frequenta più quella scuola. «È stata una mia decisione. L’ho presa più per dovere che per altro. Mi sembra tutto inutile. Davvero è possibile isolare un ragazzo da un mondo dove siamo tutti connessi?».
Qualcosa è cambiato. Lo dicono i pochi dati reali. La Polizia postale ha registrato una impennata dei reati commessi in rete che a vario titolo vedono coinvolti gli adolescenti. Più 25 per cento nel 2013. Il dato importante è quello dei monitoraggi, che rientrano nelle attività di prevenzione, spesso effettuati su richiesta delle famiglie. Nelle mani di alcuni adolescenti il sesso è diventato un’arma, strumento di ricatto, umiliazione del rivale in amore. L’allarme sociale generato da storie come quelle delle baby squillo dei Parioli e le altre emerse in questi mesi non deriva solo dalla paura classica delle caramelle dagli sconosciuti ma da una visione della vita sessuale dei giovani percepita come distorta. Comunque incomprensibile, per chi sta fuori. «Non c’è più minaccia, nel contesto culturale degli adolescenti. Niente Chiesa, Stato, famiglia. C’è una sola sessualità, prodotto della sparizione di ogni senso di colpa e principio etico». Nell’ottobre del 2001 lo psicologo Gustavo Pietropolli Charmet, con due suoi colleghi, firmò la perizia psichiatrica su Erika e Omar, i due giovani assassini di Novi Ligure. In quel documento c’era un capitolo che fece molto discutere. Era dedicato al sesso praticato dalla coppia, «piatto, indifferenziato e seriale». Il sesso piatto significa fine di ogni tabù, meccanizzazione dell’atto. «È da molto tempo che siamo a metà del guado» sostiene Charmet. «Il vecchio modello di educazione sessuale biologica è superato, ma non ne abbiamo creato uno nuovo. Manca la pedagogia sentimentale. Il sesso degli adolescenti è diventato una condotta di prova, un esercizio di potere sconnesso da amore e piacere. Un tempo era la masturbazione, oggi è lo scambio di immagini su Internet».
Al seminario sulla Storia della pornografia nell’età moderna non c’è più posto. Aula grande dell’università di Torino. Su 120 studenti iscritti, 106 sono ragazze. Pietro Adamo, docente di Storia moderna e dottrine politiche, il più grande studioso del porno in Italia, la prende da lontano. Cita un crudo sonetto di Pietro Aretino per chiedere il significato del termine «gang bang», ovvero il sesso con moltitudini di partner. Alzano la mano solo i maschi. «Sono loro» sostiene l’autore de Il porno di massa , «a imporre una grammatica creata online. Non cercano altre fonti. Si avvicinano al sesso attraverso la pornografia sul web, che resta un modo particolare di mettere in scena il sesso. Ne viene fuori un immaginario unidimensionale, ripetitivo».
Mercedes Bo si rigira tra le mani un foglio con i risultati dell’ultimo questionario. Li distribuiscono nelle scuole, ma quasi sempre le ragazze genovesi vengono a compilarlo in via Cesarea, il primo consultorio dell’Associazione italiana per l’educazione demografica, aperto nel 1971. La risposta più importante dice che il 32 per cento di mille ragazze tra i 15 e i 24 anni ha avuto rapporti con sconosciuti senza profilattico, quasi sempre nel fine settimana. «Facendo l’amore in piedi non c’è il rischio di rimanere incinta». «Si può evitare una gravidanza facendo lavande interne con la Coca Cola». Queste invece sono le credenze più stravaganti raccolte in tutta Italia, sempre via questionario. «Il confronto familiare non esiste, la pornografia è invasiva come mai prima. Così, le idee si fanno sempre più confuse. Il sesso perde la sua funzione: il rifiuto del preservativo da parte delle ragazze risponde a un’altra logica, quella del gruppo. Al timore di essere rifiutate dal partner e di perdere status sociale». La presidente dell’Aied è una vecchia femminista, definizione sua. Certe cose le vive come una sconfitta. Negli anni Novanta conobbe un gruppo di ragazze albanesi. Quando finivano i soldi per vestirsi come i coetanei italiani, partivano in Germania. Si prostituivano per qualche sera, tornavano indietro. Il ricordo riaffiora a causa delle analogie con vicende recenti. «Colpisce l’assenza di un criterio. Il sesso diviene un mezzo che crea altre funzioni. Le ragazzine che si vendono per soddisfare una necessità di puro consumismo sono la nostra sconfitta culturale».
Chiara, il nome è di fantasia, non si sente simbolo di nessuna sconfitta. È una ragazza del Sud, maggiorenne da poco. Quando viene a Milano per lavoro alloggia all’ostello della gioventù di via Salmoiraghi. Alle 22 esce, percorre un rettilineo di duecento metri a piedi e si ferma accanto alla pensilina dell’autobus. Capelli neri, stivaloni neri sotto a una minigonna dello stesso colore. Dall’altra parte dell’incrocio c’è il PalaSharp, quello dei grandi concerti, delle feste democratiche. «Qualche volta all’anno, da un paio d’anni» dice. La strada è un posto pericoloso per i dilettanti. «A mia madre dico che vado da una mia amica. Venerdì, sabato. Non resto tutta la notte. Dopo un paio di clienti, rientro. Con i vecchi non ci vado. Non ci trovo niente di male. Mi faccio pagare per un servizio. È un modo per non dipendere da nessuno. I soldi li spendo per me, vestiti, viaggi. Anche libri». In mezz’ora di conversazione si sono fermate quattro macchine, due delle quali stipate da ragazzi, in apparenza suoi coetanei. Sanno dove cercare. Basta una visita da intruso sull’ormai celebre e discusso Ask.fm, il social network dell’anonimato. Questa è la «zona delle studentesse».
Internet svolge ormai il ruolo di capro espiatorio per definizione. La percezione di un pericolo diffuso arriva da qui. Le molte ricerche sull’argomento producono statistiche quasi sempre a supporto di una tesi già dichiarata. Quella di Save the children sui comportamenti sessuali degli adolescenti italiani restituisce l’idea di Internet istruttore e palestra al tempo stesso. Il 34 per cento degli intervistati, su un campione di 2100 ragazzi, dichiara di aver ricevuto in rete approcci espliciti da parte di coetanei. Il 54% è diventato attivo inviando il suo primo messaggio di natura sessuale tra i 14 e i 15 anni di età. Uno su due. Con beneficio di inventario, ma sono cifre che certificano il web come surrogato di chiesa, Stato, famiglia.
A Palermo, pochi giorni fa, la Polizia postale ha effettuato uno di quei quasi trentamila monitoraggi. Un diciassettenne si era vendicato della fidanzata che l’aveva lasciato pubblicando il video di un loro rapporto orale. L’intervento è avvenuto online, avvisando il ragazzo del fatto che si trattava di un reato. Charmet è convinto che il web si limiti ad abolire la soglia di vergogna e timidezza. «Tutti gli adolescenti possono iscriversi all’orgia collettiva. Internet allarga la platea di coloro che partecipano al commercio, ma non la crea». I social network non sono come i vecchi muri dei bagni pubblici. «La bacheca è visibile a tutti»: partono da questa premessa gli operatori che vanno nelle scuole milanesi a insegnare l’autodifesa online. Quel che manca davvero è la consapevolezza. Del sesso, e del web. O forse, come dice Mercedes Bo, ne esiste una nuova. «Ma senza una libertà di scelta che nasca dal confronto, la spregiudicatezza è solo una maschera».
Quest’anno la carovana di «Una vita da social» creata dalla Polizia Postale doveva fare 14 tappe. Ne sono state aggiunte altre quaranta. Le richieste di aiuto sono arrivate da insegnanti e genitori. Adulti. I ragazzi restano lontani dai luoghi anche virtuali dove si parla di loro. Un messaggio di ieri, naturalmente anonimo, da Ask.fm. «Internet, Facebook, alta definizione. Abbiamo tutto. Siamo soli, anche qui, in mezzo alla folla».