Antonio Spadaro, Corriere della Sera 20/4/2014, 20 aprile 2014
OCCHI APERTI, PAROLE FORTI LA LITURGIA SOBRIA DELLE 6.30 DEL MATTINO
Sono le 6.30 del mattino e un gruppo di persone si avvicina al portone di ingresso della Residenza Santa Marta, il «Convitto», come lo chiama papa Francesco. L’ingresso è previsto alle 6.45. La sveglia mattutina, il freddo rendono pungente il senso di attesa dei presenti, ma il clima è già raccolto. Tutti siamo lì in attesa di partecipare alla messa presieduta dal Pontefice nella piccola cappella di Santa Marta. Le porte si aprono. Le guardie svizzere aiutano le persone a depositare i cappotti e a entrare nella cappella. Le persone venute a partecipare alla messa prendono posto. Anche i sacerdoti entrano e si siedono nella prima fila per concelebrare. Tutto è davvero molto normale.
Il Papa entra, raccolto, fa un inchino all’altare e quindi il segno della croce. Invitando alla preghiera il Pontefice è compreso ma ha gli occhi aperti sulla gente, che lo guarda e che da lui è guardata negli occhi. Francesco non ama astrarsi: quella celebrazione non è un rapporto tra lui e Dio in presenza di spettatori, ma vive di una dinamica davvero comunitaria. «Il Signore sia con voi», dice il Papa con voce pacata. «E con il tuo spirito», risponde il popolo.
La liturgia è sobria, essenziale, intensa. È interessante notare la postura fisica del Papa: non notiamo alcun atteggiamento formale, come da «bassorilievo». Non c’è alcuna rigidità nel suo gesto, che non è accompagnato o guidato da cerimonieri. Semmai il suo appare essere un corpo che, da una parte è tutto sbilanciato sul popolo che ha davanti a sé, che è guardato con attenzione, si direbbe volto per volto. Dall’altro il corpo del Papa è segnato dal ritmo della sua concentrazione orante che non irrigidisce ma rilassa la postura delle mani, dei piedi, del capo.
Dopo la proclamazione del Vangelo si accosta all’ambone e si rivolge ai fedeli. Il Pontefice segue le letture del giorno nella dinamica della liturgia della parola e non svolge «discorsi» a tema. Raggruppare dunque le omelie per temi ne ucciderebbe la vitalità: l’unica strada è presentarle cronologicamente, così come state pronunciate e raccolte da tre giornalisti della Radio Vaticana: Sergio Centofanti, Alessandro De Carolis e Alessandro Gisotti. Il suo discorso naturalmente genera immagini, alcune delle quali sono diventate famose, a partire da quella della Chiesa come «ospedale da campo», ma anche quelle del «dio-spray», dei «cristiani da pasticceria», del «frullato di fede», del «pensiero prêt-à-porter» o della «Chiesa babysitter».
Non stupisce che le omelie da Santa Marta contengano elementi di discorsi, interventi, omelie del Papa in contesti più pubblici: a loro modo esse sono il cuore pulsante della pastorale di Francesco. E a volte la preziosità di queste omelie supera quella di discorsi più compiuti e formali. È, infatti, pensiero sorgivo che sgorga a contatto diretto con una assemblea che prega. Nella mia riflessione ho scelto cinque binomi nel tentativo di costruire un possibile, e certo non unico, percorso di lettura: la lotta e la sfida, il desiderio e la tenerezza, la fede e l’ideologia, lo spirito e l’organizzazione, la strada e l’andare. Spero che possano spingere il lettore a scoprirne altri con il gusto della sua meditazione personale.
La lotta e la sfida
Si comprende subito anche da queste omelie come il suo sia un Pontificato dai toni «drammatici», cioè consapevole delle ombre e delle luci della vita umana. Dunque attenzione a leggere queste omelie da Santa Marta come un panorama di dolcezza: il Papa ha una visione «militante». Questa drammaticità gli deriva da sant’Ignazio di Loyola e dai suoi Esercizi spirituali. Nella meditazione «sulle due bandiere» (nn. 136-148), Ignazio raffigura un campo di battaglia nel quale si confrontano «Cristo, nostro sommo capitano e signore» e «Lucifero, nemico mortale della nostra natura umana». Per Bergoglio c’è una inevitabile dimensione di belligeranza nel modus vivendi cristiano. La vita cristiana è una lotta, insomma. Ma si può anche «lottare» con Dio (20 maggio 2013): un’esperienza di fede che è un corpo a corpo che «incarna» e imprime nell’anima il rapporto col Signore. Il rapporto con Dio che emerge da queste omelie è sì un rapporto di dolcezza, ma anche di libertà e dunque di tensione. Persino di «buio», talvolta. Questa lotta non coinvolge solamente l’anima, ma anche il popolo e i suoi pastori. «Mosé è quello che è capo del Popolo di Dio, coraggioso, lottava contro i nemici e anche lottava con Dio per salvare il popolo» (18 ottobre 2013). Un elemento forte che pervade il messaggio di queste omelie è la condanna senza misure della corruzione, del cristiano corrotto, «del laico corrotto, del prete corrotto, del vescovo corrotto, che profitta della sua situazione, del suo privilegio della fede, di essere cristiano» (14 gennaio 2014).
Il desiderio e la tenerezza
Ciò che fa andare avanti la vita del cristiano è il desiderio: «Il cristiano è un uomo, è una donna di desiderio: sempre desiderare di più nella strada della vita» (10 maggio 2013). Anzi, «Il Signore ci ha fatto inquieti per cercarlo, per trovarlo, per crescere» (21 giugno 2013). Al desiderio dell’uomo corrisponde la tenerezza di Dio. Il termine che più risuona in queste omelie per dire la consolazione, ma dal punto di vista di Dio, è proprio «tenerezza», che ha la sua massima espressione nella «dolcezza amara del sacrificio di Gesù» (14 settembre 2013). Questa tenerezza è per Bergoglio innanzitutto paterna, è «la tenerezza di Dio Padre» (10 dicembre 2013). Il 7 giugno 2013 papa Francesco ha esclamato: «Tenerezza! Ma il Signore ci ama con tenerezza. Il Signore sa quella bella scienza delle carezze». «Tenerezza» significa «vicinanza». Per questo la metafora della carezza è determinante. Essere teneri per Bergoglio non significa innanzitutto avere occhi dolci, ma toccare fisicamente, dunque eliminare per quanto è possibile le distanze. E questa vicinanza guarisce.
La fede e l’ideologia
«La verità non entra in una enciclopedia. La verità è un incontro» (17 ottobre 2013). La fede dunque è incontro personale, non è adesione a un programma o a una idea. La dottrina senza fiducia risuona a vuoto. «I cristiani che pensano la fede ma come un sistema di idee» (21 febbraio 2014) invece non credono in una relazione personale ma in progetto, in una astrazione. Non ci si può davvero «dare» a una idea, per quanto buona e bella; non si può «pregare» una idea. Ecco, «l’ideologo non sa cosa sia l’amore, perché non sa darsi» (14 maggio 2013), non prega, resta chiuso nei suoi schemi. La sua conoscenza di Gesù si trasforma in una conoscenza ideologica e moralistica. Il fedele o il pastore diventa «dottore della legge» che vuole «la chiave in tasca e la porta chiusa».
Lo spirito e l’organizzazione
Nelle omelie da Santa Marta emerge con chiarezza l’ecclesiologia di Bergoglio, la sua visione della natura della Chiesa come «popolo fedele di Dio in cammino», definizione a lui molto cara. La parola «popolo» è una tra le più ricorrenti, e spesso è connessa con la parola «pastori». La Chiesa per Bergoglio è «popolo e pastori» insieme. L’ecclesiologia del Papa è inclusiva e soprattutto fa tesoro degli «scarti»: i giovani e gli anziani. Dice il Papa il 30 settembre 2013: «Il futuro di un popolo è proprio qui e qui, nei vecchi e nei bambini. Un popolo
che non si prende cura dei suoi vecchi e dei suoi bambini non ha futuro, perché non avrà memoria e non avrà promessa! Questa visione nega radicalmente il funzionalismo organizzativo. La Chiesa non è una «organizzazione» che deve puntare all’efficienza. Esiste sempre una tensione dialettica intraecclesiale nel discorso che fa papa Francesco tra spirito e organizzazione: l’uno non nega mai l’altro, ma il primo deve animare la seconda in maniera efficace, incisiva. Nella Evangelii Gaudium aveva scritto che la Chiesa è «popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale» (EG 111). Per il Papa lo Spirito fa sì che la Chiesa cresca «dal basso, lentamente» come un organismo vivente, non come una organizzazione.
La strada e l’andare
I binomi che abbiamo messo in evidenza fino a questo momento non sono da intendere in maniera statica. Bergoglio ha una visione molto dinamica della realtà. Non è un caso che una delle parole che in assoluto ricorre più spesso in queste omelie è «strada», così come anche tra i verbi più usati risulta «andare». La strada per Bergoglio è il luogo dove si incontrano gli uomini, e dunque il Papa vuole una Chiesa capace di essere lì dove gli uomini sono: per strada, appunto, con la capacità di accompagnare le persone nel loro cammino. Ma la strada è anche la stessa vita di fede: è la metafora per eccellenza del «cammino di tutti i giorni, nella presenza di Dio» (12 aprile 2013). In questo senso dinamico il Papa usa spessissimo l’espressione «andare avanti». La vita cristiana non è uno «stato di vita», ma un movimento progressivo. La strada diventa la grande metafora della vita spirituale ed ecclesiale. Solo nella strada è possibile l’incontro. La strada è, in questo senso, il luogo della verità. Questa dinamicità è quella propria anche della Chiesa, che è chiamata non a occupare spazi di potere in maniera stanziale, ma ad accompagnare i tempi dei processi culturali, sociali, storici dall’interno.