Sergio Romano, Corriere della Sera 19/4/2014, 19 aprile 2014
NELLE RELAZIONI FRA ITALIA E RUSSIA C’È PIÙ ECONOMIA CHE POLITICA
Nella sua risposta sul gas d’argilla (shale gas) ritrovo i ragionamenti perversi che subito dopo la guerra molti nostri industriali fecero o furono tentati di fare: uniamoci alla Unione Sovietica che ha bisogno di tutto ed è più vicina a noi degli Stati Uniti.
In pratica niente Nato e niente Mercato Comune, magari Comecon.
È questo che lei ancora
oggi si augura?
Gabriele Ugolini
Caro Ugolini,
Forse lei pensa, tra l’altro, alla lunga lettera con cui Raffaele Mattioli, nel 1947, propose a Palmiro Togliatti un piano economico in 33 punti sulla politica che il governo avrebbe dovuto adottare per garantire la ricostruzione e lo sviluppo dell’Italia dopo le devastazioni della guerra. Come ha ricordato Sandro Gerbi in una conferenza all’Università Cattolica, il piano era stato chiesto da Togliatti ed era certamente il risultato del rapporto cordiale che si era stabilito fra l’amministratore delegato della Banca commerciale italiana e il segretario generale del Partito comunista italiano. Fra gli obiettivi suggeriti da Mattioli vi era anche l’aumento dei rapporti commerciali con l’Urss, una posizione condivisa da alcuni importanti settori del mondo industriale italiano. Ma il banchiere, nonostante le sue numerose amicizie in ambienti vicini al Pci, non era un «compagno di viaggio». Era un uomo indipendente, non conformista, di gusti eclettici e, come definiva se stesso, un liberale con un pizzico d’anarchia, troppo conservatore per essere comunista.
Il tema dei rapporti commerciali con la Russia, d’altro canto, risale agli anni, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in cui i due Paesi, come osservò Francesco Saverio Nitti, erano in Europa quelli in cui si registrava il più alto tasso di sviluppo. Con una importante differenza: la crescita italiana aveva preceduto di qualche anno quella dell’Impero zarista e il nostro Paese era in condizione di scambiare grano ucraino con beni strumentali e progetti di comune interesse. La Grande Guerra sorprese a Pietroburgo un geniale finanziere e imprenditore torinese, Riccardo Gualino, impegnato da tempo alla conclusione di un grosso affare per la costruzione di un moderno quartiere residenziale nell’isola Vasilevskij, in mezzo alla Neva. Dopo la rivoluzione e l’avvento dei bolscevichi al potere, un altro industriale italiano, Franco Marinotti, non attese l’instaurazione dei rapporti diplomatici per installarsi a Mosca dove creò una sorta di missione commerciale. Il reciproco riconoscimento dei due Paesi ebbe luogo nel 1924 quando il governo era presieduto da Mussolini. Italia e Russia sovietica, in linea di principio, avrebbero dovuto detestarsi, ma il realismo politico e gli interessi economici prevalsero sulle contrapposizioni ideologiche.
Negli anni seguenti l’Italia fascista non esitò a organizzare una trionfale crociera di Italo Balbo nel Mar Nero e a patrocinare il grande impianto per la fabbricazione di cuscinetti a sfera costruito a Mosca dalla Riv (la fabbrica torinese della famiglia Agnelli) nell’ambito del primo piano quinquennale, lanciato da Stalin nel 1928. Più tardi vi furono altre commesse, soprattutto nel settore navale. Il resto, dagli accordi di Enrico Mattei con le autorità sovietiche per la fornitura di petrolio a quelli di Vittorio Valletta per la costruzione di una grande fabbrica di automobili, è storia più recente, ma dimostra che nei rapporti economici fra Italia e Russia vi è una straordinaria continuità. Potrei scrivere le stesse cose a maggiore ragione, caro Ugolini, di quelli fra Russia e Germania e ricordare che né Mattei, né Valletta, né gli industriali della Repubblica di Weimar e della Repubblica federale hanno avuto simpatie comuniste. Erano motivati dai loro interessi e da quelli del loro Paese.