Andrea Pasqualetto, Corriere della Sera 19/4/2014, 19 aprile 2014
IL FANTE, LA SARTA, L’AMBASCIATORE E GLI ALTRI «PATRIOTI» DEL VENETO
DAL NOSTRO INVIATO BRESCIA — Non appena varcata la soglia del carcere, dopo quindici giorni di cella e otto chili persi, Franco Rocchetta ha voluto ribadirlo: «Il Veneto è una colonia dell’Italia e viene sfruttato dallo Stato». E lì, con la sciarpa di San Marco già al collo e tre borsoni di plastica ancora in mano, il convintissimo indipendentista trevigiano ed ex parlamentare italiano che ha compiuto i 67 anni dietro le sbarre, ha parlato per circa un’ora dei soprusi subiti dalla Serenissima Repubblica di Venezia, dal 1855 ai giorni nostri, concludendo per la «necessità di abolire i monumenti di Garibaldi e Vittorio Emanuele» e descrivendo così il magistrato che l’ha interrogato: «Mi è sembrato fuori dal tempo e dallo spazio». Alé. Ha poi ricordato di essere stato «ammanettato come un animale, io che non mangio carne da 20 anni» e di aver provato pena per chi l’ha accusato di associazione eversiva con finalità di terrorismo. Accusa, questa, che il Tribunale del Riesame di Brescia ha ieri fatto cadere e per questa ragione ha deciso di liberare lui, l’ideologo, e altri sei serenissimi «secessionisti» (anche Lucio Chiavegato, leader veneto dei Forconi), tutti arrestati lo scorso 2 aprile dal gip di Brescia che aveva disposto la custodia in carcere di 24 persone. Altri cinque sono finiti agli arresti domiciliari perché i giudici ritengono fondata l’accusa di detenzione e fabbricazione di armi da guerra (un sesto era stato liberato tre giorni fa, mentre i restanti 11 sono rimasti agli arresti, non avendo presentato istanze). Fin qui, la decisione di ieri, che ha portato anche al trasferimento per competenza dell’inchiesta da Brescia a Padova.
Domanda: perché i serenissimi dovrebbero essere considerati più un’armata Brancaleone che un’ associazione sovversiva? Dal materiale sequestrato e raccolto in un’informativa del Ros dei carabinieri, depositata il 7 aprile, e dalla relazione preliminare del Ris di Parma sul mezzo blindato, qualcosa emerge. Per esempio, a casa di Flavio Contin detto «el vecio», settantaduenne già protagonista mortificato dell’assalto al campanile del 1997, gli inquirenti hanno trovato l’elenco degli iscritti al Vfl, Veneto fronte di liberazione, il nucleo centrale dell’Alleanza che secondo la procura di Brescia poteva insorgere a breve contro lo Stato italiano marciando su piazza San Marco con una ruspa trasformata in cingolato in grado di sparare. Il registro sequestrato conta centodieci «patrioti» che hanno firmato una formale scheda di adesione con nome, cognome, data e luogo di nascita e possibile ruolo nella fase di preparazione ed esecuzione dell’assalto indipendentista. C’è il reclutatore, il «volantinatore», il meccanico, il muratore, l’imbianchino e chi è stato schedato così: «Bravo a usare le armi».
Chiaro, per fare la rivoluzione servono mille figure e i serenissimi hanno assegnato una mansione a tutti. A tutti coloro, cioè, che avevano detto sì alla lotta per l’indipendenza del Veneto arruolandosi di fatto nel nascente esercito del Leone di San Marco: «Perché è arrivato il momento di combattere, osti». E così il cacciatore veronese è diventato fante, il fabbro «tagliatore di pezzi per blindato», la sarta «fornitrice di divise» e, salendo di ruolo, l’artigiano veronese Tiziano Lanza (ai domiciliari) «ambasciatore»: «Devo farlo io perché ho imparato le lingue... poi convoco le conferenze stampa e tutte quelle cose qua», decide in una conversazione intercettata.
Una truppa che vede a Rovigo la più alta concentrazione: 52 iscritti. Seguono Verona con 21, Treviso 9, Venezia 8, Padova e Vicenza 7, infine Belluno con un solo rappresentante, uno scrittore nostalgico insurrezionalista di settantaquattro anni. Altri cinque nomi sono stati schedati sotto la dicitura «Commonwelth veneto e altre province dello Stivale»: gli appoggi «esteri». Fra questi, giusto per non lasciare scoperto l’antico fronte sudorientale della Serenissima repubblica di Venezia, anche un albanese di Tirana.
Nella relazione del Ros ci sono le foto e le considerazioni sul tanko. «I serenissimi hanno effettuato due prove (del cannone, ndr ) sotto il capannone: la seconda ha determinato una forte esplosione». Intercettato, Luigi Faccia quel giorno esultò con Lanza: “Momento storico... abbiamo messo il cotone dentro... è partita una stecca che ha tremato il capannone, una roba mostruosa». Il Ris di Parma ha avuto qualche difficoltà a definire il mezzo, non avendo mai analizzato nulla del genere: «Un ibrido fra un bulldozer e un carro pioniere. Ha cingoli in acciaio, accesso dal cielo, cannoncino e arma». Lo spiega meglio Giampietro Lago, comandante del Ris: «Abbiamo dimostrato che può sparare un colpo singolo. Può sfondare una porta, un portone ma forse non buca nemmeno un muro. Se colpisce una persona però la uccide, indubbiamente». Arma da guerra? «Non è oggettivamente pacifico».
Per l’avvocato Alessio Morosin, difensore di Contin e indipendentista pure lui, è invece tutto chiaro: «Hanno rischiato di più i serenissimi. Do un consiglio ai periti che faranno le prove: allontanatevi». Mentre lo costruivano, all’ambasciatore Lanza era infatti sorto un dubbio su quel cannone: «Gigi, ma come si fa qui a prendere la mira?».