Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 19 Sabato calendario

LE BANCHE CENTRALI DEL FUTURO


La ragion d’essere della banca centrale risiede nella discrezionalità del suo operare, fondata sulla sua autonomia. Una banca centrale asservita a regole rigide non vale il costo. È, questa, la linea teorica Thornton-Bagehot-Keynes-Minsky (T-B-K-M). Ma da Ricardo a Friedman non pochi economisti hanno nutrito sfiducia per le soggettive decisioni delle banche centrali.
Dagli antichi istituti d’emissione agli anni Settanta del Novecento il favore per la discrezionalità aveva prevalso. L’inflazione degli anni Settanta, l’analisi neoclassica divenuta ortodossia, il paradigma dei mercati autoreferenziali: sino alla crisi del 2008 questi fattori si sono uniti agli interessi della finanza nell’indurre a limitare la discrezionalità delle banche centrali, su tre fronti e per più vie.
In politica monetaria ci si è affidati a parametri quantitativi, "inflation targeting", "Taylor rule". In vigilanza si è teso alla separazione dalla politica monetaria, si è confidato nei ratios di bilancio, nei modelli di rischio interni alle banche, nei mercati "perfetti".
In finanza pubblica si è impedito alla banca centrale di finanziare lo Stato. Nell’Europa dell’euro, in particolare, veniva creato un SEBC (sistema europeo delle banche centrali, ndr) tutto dedito ai prezzi stabili, privo del potere-dovere di vigilanza, con il divieto di finanziare i Tesori in via diretta.
La crisi del 2008 ha sconvolto questi assetti. La sua durezza ha ancora una volta suffragato la linea Thornton-Bagehot-Keynes-Minsky (T-B-K-M). Il pendolo è stato risospinto verso un accresciuto ruolo discrezionale del central banking.
Ogni regola quantitativa della politica monetaria è saltata. Nell’espandere - come altre banche centrali - i finanziamenti con larghezza "non convenzionale", il SEBC ha dovuto operare ai limiti dello spirito, se non della stessa lettera, dei suoi statuti. In vigilanza si è restituita la competenza alla Bank of England. Si è potenziata quella della Federal Reserve. La si assegna in tutta fretta alla Banca centrale europea. Il 15 settembre del 2008 la Federal Reserve lasciò cadere Lehman Brothers. Cedendo all’interpretazione restrittiva della Section 13(3) del Federal Reserve Act, valutò "non soddisfacenti" le garanzie di Lehman Brothers. Fu un errore. Al dissesto di Lehman seguì, per contagio, una disastrosa catena di fallimenti.
I disavanzi e i debiti pubblici, esplosi nella recessione, hanno rischiato di far implodere l’Europa unita. Il SEBC li ha rifinanziati, ma per vie indirette, quasi di soppiatto, ai limiti dell’ordinamento.
La discrezionalità delle banche centrali va ribadita, valorizzata, sancita. Può evitarsi che essa scada nell’arbitrio. È sindacabile ex post, dal Parlamento in primo luogo. Nella teoria economica e nell’econometria sono oggi rinvenibili criteri qualitativi ed empirici sufficienti a questo fine.
Sulla base delle vicende anche recenti, tre specifiche ipotesi di riscrittura del mandato delle banche centrali possono prospettarsi.
In politica monetaria, la legge sulla Fed offre l’indicazione di una pluralità di obiettivi tra cui la banca centrale è chiamata a scegliere o mediare nei casi di contrasto (quali la stagflation). La Section 2.A richiede alla Federal Reserve "to promote effectively the goals of maximum employment, stable prices, and moderate long-term interest rates". Questa formulazione potrebbe utilmente estendersi alle altre banche centrali. Ciò a cominciare dal SEBC, per il quale la stabilità dei prezzi è invece finalità pressoché esclusiva, fondata su un’improbabile separatezza fra prezzi e attività economica.
Nella supervisione e nel credito di ultima istanza. In circostanze eccezionali – tipo Lehman Brothers – la banca centrale deve poter rifinanziare qualsivoglia operatore, anche insolvente. Deve farlo, se sulla base della sua esperienza di supervisione ritiene che sia a repentaglio la stabilità dell’intero sistema finanziario. Il rischio dei finanziamenti che concede – non coperto garanzie – andrebbe comunque contenuto entro il confine del proprio patrimonio netto. Così riformulata, la Section 13(3) della Fed potrebbe pur essa estendersi internazionalmente. Al SEBC è attualmente fatto divieto di rifinanziare gli insolventi persino nel caso in cui il collasso del sistema finanziario sia in atto. Il divieto riguarda tanto gli strumenti della Banca centrale europea quanto l’Emergency Liquidity Assistance da parte delle banche centrali nazionali membre del SEBC.
Nel finanziamento monetario dello Stato. Proibito al Sistema europeo delle banche centrali e ad altre banche centrali, dovrebbe invece rientrare tra le loro facoltà. Andrebbero rispettate due precise condizioni: che il bilancio pubblico sia in equilibrio strutturale e che, nonostante ciò, lo Stato non riesca a collocare titoli nel mercato nemmeno a tassi d’interesse molto elevati.
Saprà l’Europa apprendere dalla migliore analisi e dall’esperienza?

Pierluigi Ciocca, Il Sole 24 Ore 19/4/2014