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 2014  aprile 19 Sabato calendario

PERISCOPIO


Che fai nella vita? Faccio notizia. Massimo Bucchi. il venerdì.

Quello che sarà chiamato Senato delle autonomie, non avrà voce in capitolo sulla fiducia al governo, né sul bilancio. A questo punto, viene da chiedersi: che resta aperto a fare? Risparmiare per risparmiare, facciamo economia anche sulle bollette. Chiudiamolo del tutto, stacchiamo il riscaldamento, spegniamo la luce, e buonanotte ai senatori. Dario Vergassola. il venerdì.

Renzi, a differenza di Berlusconi, è un politico vero. Ha il cinismo di chi capisce perfettamente che se non crea una discontinuità con i governi precedenti, ne fa anche la fine. Renzi ha preso le misure al parlamento ed è nelle condizioni di dire che, o va avanti l’impianto di riforma, o si va alle elezioni. C’è chi dice che questo è un ricatto. Sarà un ricatto, ma non è con i metodi delle bicamerali, da Bozzi alla Iotti, a D’Alema che si siano visti dei grandi risultati. Pier Ferdinando Casini. Corsera.

Il Pd resta ambiguo nei contenuti e discutibile nella prassi: sono esterrefatto dal modo in cui sono nati gli ultimi governi. I leader vengono quasi tutti dalla vecchia Dc (Bindi, Franceschini, Letta, lo stesso Renzi), mentre i valori della sinistra sono stati annacquati. Giovanni Consorte. Ex ad di Unipol. Corsera.

L’Italia ha tante cose belle. Per certi aspetti ha persino dei monopoli di bellezza. Pensa a Pompei. Solo che non sono valorizzati. Cascano a pezzi, cazzo. Pompei datela ai privati o cadrà giù tutto. Meglio sotterrarla che lasciarla morire così. Se un cosa del genere fosse in America, intorno ci avrebbero costruito Las Vegas. Ci sarebbero 25 alberghi, l’Hilton e il Four Season. Ma noi non siamo capaci. Guarda il Colosseo. Non si riesce a restaurarlo. Della Valle ci ha perso un sacco di tempo. E ogni tanto lo chiudono perché i dipendenti fanno sciopero. Alcuni mesi fa Enrico Letta andò in Qatar per cercare di farsi dare una mancia dagli arabi, ma non gliel’hanno data. E il problema non era lui. Non era Letta che, anzi, si presentava bene, sembrava il figlio che tutti vorremmo, perfettino. Come il problema non era nemmeno Berlusconi. Il problema è il paese. Investire in Italia non è conveniente. Non c’è certezza delle regole. Vige l’idea dell’interpretazione delle regole. E infatti ci sono più avvocati a Milano che in tutta Francia. Flavio Briatore. Il Foglio.

L’istituto sondaggi Demos, molto più credibile dei referendum online, ha scoperto il 24 marzo scorso che il 55% dei veneti è favorevole all’idea dell’indipendenza, anche se molti si accontenterebbero di «parlamentari migliori»(30%), di un federalismo vero (20%). I veneti, dopo essere stati ingannati dalla Lega, non chiedono più solo più lavoro e meno tasse. Pretendono pure politici onesti e legati al territorio. A Roma, dove si riforma la legge elettorale per garantire ai partiti un altro parlamento di nominati, è forse il caso che qualcuno se ne accorga. Prima che sia troppo tardi. Peter Gomez. Il Fatto.

Lo Stato socialista è paragonabile a una sorta di paternalistico ente benefico, a un ospizio nel quale gli anziani campano, non grazie all’accumulazione di ricchezza da essi prodotta durante gli anni di lavoro e che si tradotta, con la pensione, in proprietà privata, ma della carità pubblica. Piero Ostellino. Corsera.

Nel 1986 lo scandalo del vino adulterato fece crollare le vendite del 37%. Oggi il 90%o del vino prodotto dalle Langhe è iscritto all’elenco Doc; dodicimila persone lavorano, qui, in questo settore. E l’Italia vende, nel mondo, più vino che la Francia. Ma c’è un’altra eccellenza: il turismo. Le Langhe oggi attirano turisti da tutto il mondo. E su 32 ristoranti stellati che ci sono in Piemonte, 14 sono in provincia di Cuneo. John Elkann, presidente Fiat. La Stampa.

Appena Mario Sechi, ex direttore de Il Tempo, entrava da Fortunato, il ristorante della politica romana in piazza del Pantheon, Fortunato scuoteva la testa e gli chiedeva: «Dove andremo a finire?». E se Sechi rispondeva: «Eh, siamo arrivati al fondo», Fortunato si rincuorava: «Allora possiamo ricominciare a salire» . Anche se Sechi si divertiva a rispondergli con un: «Mah, forse cominceremo a scavare». Marianna Rizzini. Il Foglio.

Al mercato rionale vendono i ciclamini, rosa o bianchi, e sembrano farfalle addormentate sugli steli. Le donne passano, li guardano, vanno oltre – ritornano sui loro passi, sedotte. Per 5 euro se li portano a casa; e già li vedi, sui davanzali e i balconi, avanguardie di vedetta della primavera che avanza. E a casa, poi, la luce chiara, nascente, illumina angoli in cui improvvisamente scorgi la polvere. E le tende alle finestre non sono, in questa luce nuova, candide. E allora ti prende un furore gentile per cui rivolti le stanze, butti ciò che è vecchio, e decidi che è ora di dare ai muri una mano di bianco; pregustando l’odore acre di pittura che si allargherà poi nelle stanze. Cos’è questa femminile frenesia di ripulire e rinnovare, se non istinto di nidificazione? Scattato al comando della giovane luce, dentro a una trama antica. Lo hai visto, da bambina, all’opera in tua nonna e in tua madre; ed ecco tua figlia, 16 anni, che entra in casa, fresca come una folata di vento: «Mamma, ma hai sentito, fuori, quest’aria?». E tu, quest’aria l’hai ritrovata ormai tante volte. Eppure anche quest’anno ti commuove, la promessa che si compie. La fedeltà delle forsizie, puntuali, e del merlo che all’alba canta in cortile – spezzato d’improvviso il lungo silenzio dell’inverno, come a un arcano segnale. Marina Corradi. Avvenire.

Lorena Bianchetti rilegge per l’ennesima volta il Nuovo Testamento, convinta che sia impossibile che Gesù non le abbia lasciato nemmeno una casa in eredità. Simone Morano. Il Fatto.

Un mio amico, che era anche a scuola con me, adesso è vescovo della Silicon Valley. Ieri mi telefona e mi fa: «Qui vogliano lasciare tutto al Vaticano». Io: «Ma chi?». Lui: «Tutti i proprietari delle più grandi aziende informatiche del mondo, da Facebook a Google... tutte quelle della new economy vogliono lasciare tutti i loro averi alla Città del Vaticano!». Io: «Fatti firmare una carta e accetta. Male che va, se ci ripensano, gli diamo indietro la metà». Lui: «Farò così». Maurizio Milani. Il Foglio.

Le mie ultime parole non saranno famose. Voglio morire in punta di piedi. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 19/4/2014