Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 19 Sabato calendario

RICHETTI CON 130 ONOREVOLI FIRME


L’altro Matteo è in pista, in pista più che mai. Matteo Richetti, che ancora tre anni fa pareva un sosia politico del più noto Matteo Renzi, oggi parlamentare democratico, si sta distinguendo per un deciso attivismo, avendo stilato un documento di sostegno al Documento di economia e finanza-Def che ha raccolto in un fiat 130 firme.
Un sostegno ampio e nello spazio di poche ore, tanto che, in Transatlantico, si è cominciato a pensare che punti a sostituire Roberto Speranza alla guida del gruppo piddino a Montecitorio.
Lui, Richetti, con un’intervista a L’Unità, ieri, ha smentito decisamente, spiegando che non sta nascendo nessuna corrente neorenziana, né c’è il tenativo di defenestrare l’ex-giovane turco lucano, voluto da Pier Luigi Bersani a capo dei deputati.
Richetti, emiliano di Sassuolo, classe 1974, è renziano della prima ora: da presidente del consiglio regionale emiliano, era stato protagonista della Leopolda 2011, quella che era assai osteggiata dal Nazareno, sede nazionale del Pd a Roma, allora in mano ai bersaniani, al punto che si pensò di organizzare, in perfetta contemporanea, un mega raduno dei giovani amministratori del Sud. D’origine margherita come Renzi, Richetti usava le sue stesse parole d’ordine sui tagli della politica e andava anche oltre, realizzando il taglio dei vitalizi per i consiglieri emiliani.
Sul palco di quella kermesse, quando l’ufficialità della discesa in campo di Renzi era lontana (le primarie contro Bersani sarebbero arrivate l’anno dopo), Richetti era stato protagonista assieme a Davide Faraone, consigliere comunale siciliano, e a Giorgio Gori, ex-Mediaset. Oggi questi ultimi, sono l’uno, deputato, a guidare il welfare del Pd, il secondo a correre per la conquista del municipio di Bergamo. Poi, come per lo stesso Gori d’altronde, s’era detto che i rapporti di Richetti col Rottamatore si fossero raffreddati, che non fosse più nell’inner circle renziano, popolato dai Luca Lotti, dai Marco Carrai, dalle Maria Elena Boschi.
Solite malignità: di volta in volta, a seconda degli occhiuti osservatori, a cadere in disgrazia erano stati il responsabile delle primarie 2012, Roberto Reggi, oggi sottosegretario all’Istruzione, la portavoce Simona Bonafè, oggi capolista nella circoscrizione centro alle europee, e Giuliano Da Empoli, assessore alla Cultura, oggi presidente del prestigioso Gabinetto Viesseux di Firenze.
Per Richetti, la voce era durata di più, anche perchè forse alcuni avevano male intepretato la sua astensione sull’adesione al Pse, quando Renzi l’aveva proposta. nel febbraio scorso, alla direzione nazionale, unico non favorevole se si eccettua il voto contrario di Beppe Fioroni. Si era pensato a una presa di distanza. «Non c’è stato abbastanza dibattito», aveva motivato Richetti, fedele alle proprie radici cattilicodemocratiche.
Ecco perché quando, alcuni giorni fa, il deputato modenese aveva prodotto il documento pro-Def, i soliti osservatori erano rimasti spiazzati: perché era un testo che più renziano non si poteva.
E allora si era cominciato a pensare alla creazione della corrente neorenziana, come tentativo di quelli ante-marcia come Richetti, di volersi distinguere dalla massa dei supporter della seconda e terza ora, dai saltatori sul carro. In effetti, la mossa congressuale di Dario Franceschini e Piero Fassino di appoggiare appunto Renzi per la corsa alla segretaria, ha affollato l’universo del Rottamatore, tanto che ora, parafrasando Benedetto Croce, non ci si può non dire renziani, se si eccettua la sinistra interna. Ma basta guardare i firmatari del documento Richetti, trovandoci lo stesso Fioroni, storico antipatizzante del premier, per capire che se si trattasse dell’atto costitutivo di una corrente pro-segretario sarebbe davvero bislacco.
Anche l’ipotesi che Richetti si muova per schiodare Speranza dal suo ruolo di capogruppo non appare troppo fondata. Il premier non ha motivi di lagnarsi della sua conduzione della rappresentanza alla Camera, avendo Speranza il pregio di saper trattare con le due anime dalla sinistra interna, quella dei vecchi, dei Bersani e dei Massimo D’Alema, come quella dei giovani, come Matteo Orfini, Stefano Fassina e Andrea Orlando, i giovani turchi cui apparteneva fino al voto di un anno fa.
Piuttosto l’intraprendenza di Richetti deve essere inquadrata in un fenomeno fisiologico: l’era Renzi è appena cominciata ed è destinata verosimilmente a durare almeno per un’altra legislatura, inevitabile quindi che ognuno degli esponenti più autorevoli si posizioni, al suo interno, a seconda della propria storia e della propria sensibilità politica. Non si arriverà, come già fu per la Lega a metà degli anni ’90, nel pieno del fulgore lumbard, a folcloristiche elezioni padane, con leghisti-socialisti, catto-leghisti e leghisti-moderati, ma certo, anche nel mondo renziano, si assisterà alla polarizzazione di aree e protagonisti. Come disse Vittorio Emanuele durante la battaglia di Palestro, nella seconda guerra di indipendenza, «ora c’è gloria per tutti».

Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 19/4/2014