Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano 19/4/2014, 19 aprile 2014
JESUS CHRIST SUPERSTAR QUARANT’ANNI DOPO
Da ieri al Sistina si ridà per l’ennesima volta Jesus Christ Superstar. Io lo vidi a Londra nel 1972 in un teatro del West End prima che nel 1973 se ne facesse un film che gli diede fama internazionale. Ma a teatro è meglio perché è più essenziale. Eravamo un gruppo di ragazzi e ragazze a Londra per perfezionare il nostro inglese. Jesus era in scena da tre giorni. Prendemmo i biglietti e andammo. Allora era tutto più semplice, oggi per un concerto di Zucchero devi prenotarti sei mesi prima.
Jesus Christ Superstar è la più perfetta opera hippy. Non a caso è coeva alla “grande Olanda” dei Neeskens, dei Cruijff, dei Krol, l’Olanda del “calcio totale”, che non ha nulla a che vedere con l’andirivieni monotono e scontato dei terzini di oggi, dove i giocatori facevano tutti i ruoli, il portiere Jongbloed, un pazzo, stava costantemente nel cerchio di centrocampo, e giocavano per divertirsi, dentro e fuori del campo e in ritiro portavano le mogli e le fidanzate, cosa proibitissima allora. L’Olanda hippy appunto. Che perse due finali mondiali perché le giocò sul campo dei padroni di casa nel 1974 con la Germania, che perlomeno era una grande Germania, con Beckenbauer e Breitner, e con gli assassini dell’Argentina che falciarono subito Neeskens che dovette giocare tutta la partita col braccio al collo (ah, quel palo di Resenbrink all’ultimo minuto, dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che Dio non esiste, il che ha qualcosa a che vedere con Jesus Christ Superstar). Il movimento hippy era nato in realtà negli anni Sessanta ma trovò le sue migliori espressioni, Jesus Christ appunto e il calcio olandese, quando ormai era finito e imperversavano i sessantottini e postsessantottini che sbandieravano Marcuse senza averlo letto né tantomeno capito (per questi imbecilli Adorno e Horkheimer erano già troppo).
Il Cristo di Jesus è un borderline, uno che delira, che crede veramente di essere figlio di Dio. Memorabile è la scena in cui Ponzio Pilato, in tunica rossa, infligge, su un parterre a scacchi blu e rossi che somiglia a un flipper, le famose 39 frustate a Cristo, che si è spogliato della veste bianca, perché la smetta di dire che è figlio di Dio. Pilato in realtà vuole salvarlo perché il mob, alias gli ebrei, ne pretende la crocefissione per questa blasfemia. Sullo sfondo ballano ragazzi inglesi, capelli lunghi, tipo Beatles.
È il coro greco in versione moderna. Ma Cristo Superstar non può rinnegare se stesso. Alla fine Pilato gli dice “You are foolish Jesus Christ. How can I help you?” se sei così testardo, non ti rendi conto che la tua vita è nelle mie mani? “You have nothing in your hands. Everything is fixed and you can’t change it”. Cosa che farà dire a Giuda, in un passaggio precedente, quando si impicca: “Se ogni cosa è già stata stabilita allora tu Cristo, se sei veramente il figlio di Dio, sei il mio assassino (you have murdered me)”. Ma Cristo non è il figlio di Dio. È solo uno che crede, da folle, di esserlo. E questo rende ancora più commovente il passo del Vangelo quando Cristo, inchiodato sulla croce, dubita, umanamente dubita: “Padre, padre. Perché mi hai abbandonato?”.
Jesus Christ Superstar fa piazza pulita di tutti i luoghi comuni della Chiesa cattolica, del suo insopportabile senso di colpa (Giuda, il bello del senso di colpa è che la pena ricade sempre sulla testa degli altri) dà agli ebrei la parte di fanatici che ebbero in quell’occasione, restituisce a Pilato il ruolo, degno, che ebbe e soprattutto all’uomo, impersonato da Jesus Christ, la sua umanità.
Massimo Fini, Il Fatto Quotidiano 19/4/2014