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 2014  aprile 19 Sabato calendario

TRECCANI, VELENI E CONFLITTI (D’INTERESSE)


Antefatto: poco prima di salire al Quirinale per rassegnare le dimissioni, Enrico Letta presiede l’ultimo, mestissimo, Consiglio dei ministri. È il 14 febbraio, come un celebre film americano, Il massacro del giorno di San Valentino. L’assise dura mezzora, ma i ministri con un piede già fuori dalla porta fanno in tempo a nominare una serie di ambasciatori. E a deliberare“in via preliminare” la nomina di Franco Gallo – ex ministro del governo Ciampi, ex presidente della Consulta, accademico dei Lincei – alla presidenza dell’Istituto Treccani (al posto di Giuliano Amato, nominato giudice costituzionale dal Presidente Napolitano). Il provvedimento viene trasmesso all’esame delle commissioni Cultura di Camera e Senato il 27 febbraio, in attesa del decreto di nomina del Quirinale. Che ancora, dopo il parere favorevole delle due commissioni parlamentari, non è stato firmato. Di più ai nostri lettori non è possibile dire perché il Colle, interpellato plurime volte nella persona del capo ufficio stampa, non ha fornito risposta alcuna. Ricordiamo oggi quelle ultime concitate ore del governo Letta perché l’enciclopedica nomina ha innescato un terremoto. Ed è un terremoto tutto politico.
Il 25 marzo scorso su Repubblica esce un articolo che anticipa il consiglio di amministrazione dell’Istituto previsto quello stesso giorno. Titolo:“Tra Braye Tatò è sfida finale per la Treccani”. E cosa dice? Che c’è bisogno di un rilancio culturale e che si vuole abolire la figura dell’amministratore delegato, ruolo che dal 2003 è ricoperto da Franco Tatò. Classe 1932, il manager a cui il fu Cavaliere affidò il risanamento di Fininvest e Mondadori, ha molti nemici in casa: è l’uomo che ha risanato l’Istituto, a suon di tagli dell’organico e cessioni immobiliari. Traccia del velenoso habitat si trova in una vicenda del 2004, quando Tatò finì al centro di una polemica per via di una cena a Portofino per il compleanno della moglie Sonia Raule, pagata dalla Treccani. “È offensivo perfino parlarne”, disse lui al Corriere, senza smentire. “Le spese di rappresentanza sono insindacabili. Uno spende quello che ritiene opportuno e mi sono tenuto strettamente a una delibera del Consiglio. Io stesso ho sottoposto la vicenda al Collegio sindacale, che non ha ravvisato irregolarità”. Il clima negli anni non è tanto migliorato se, come sembra, Tatò verrà rottamato su due piedi dagli stessi che hanno appoggiato negli anni le sue scelte e gli riconoscono di avere risanato una società morente: oggi la costosa enciclopedia delle élite è democraticamente a disposizione di tutti, su un portale che fa 250 mila contatti al giorno. Fuori i mercanti dal tempio, è l’ora del rilancio culturale.
Il 26 marzo, il professor Giovanni Puglisi – facente funzioni del presidente in seno al cda – rilascia una dichiarazione all’Ansa: “Bisogna restituire alla Treccani il ruolo di motore culturale, che negli ultimi anni è passato in secondo piano rispetto alla necessità di riportare i conti in ordine. Ora si può con serenità riportare la governance al bilanciamento di poteri che era nello spirito originale. Undici anni fa, l’istituto ha passato un momento difficile e si è deciso di creare un soggetto unico (l’amministratore delegato, ndr) che avesse tutti i poteri. È tempo di tornare all’equilibrio tra il cda con il presidente, il consiglio scientifico e il direttore generale”. C’è un però: durante l’assemblea del 25 marzo – a meno che alcuni consiglieri non abbiano avuto le traveggole (ma appena i verbali del cda saranno disponibili sarà possibile una verifica documentale) – Puglisi avrebbe parlato al consiglio – una sede formale, dunque – della proposta di reintrodurre la figura del direttore generale, a nome di Franco Gallo. Che però, ha notato più d’uno, formalmente non è ancora stato nominato. Di tutto questo si discuterà il 30 aprile, in un’assemblea dei soci convocata in sessione straordinaria e che si preannuncia tempestosa. Bisogna ricordare che la Treccani (di cui sono soci prevalentemente banche e fondazioni bancarie) è una società per azioni di diritto privato: questo nonostante il presidente – antico retaggio – sia di nomina politica. E il sopracitato articolo di Repubblica, spiega che il più accreditato a ricoprire il futuro ruolo di direttore generale è proprio un politico, l’ex ministro ai Beni culturali Massimo Bray, che in Treccani ha fatto tutta la sua carriera. L’interessato, che è anche deputato del Pd, non vuol parlare dell’ipotesi di un suo ritorno. E nemmeno di un possibile conflitto d’interessi postcarica, previsto dalla legge 215 del 2004.
Nei dodici mesi successivi alla cessazione dell’incarico, prevede la norma, sussiste per un ministro l’incompatibilità “nei confronti di enti di diritto pubblico, nonché di società aventi fini di lucro che operino prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta”. Ma Bray non è affatto preoccupato: sostiene – tramite il suo ufficio stampa – che la Treccani, con cui il ministero non ha rapporti economici, operi in ambito editoriale e non culturale. Insomma è semplicemente una casa editrice. Per questo, come invece hanno fatto altri colleghi, non ha richiesto un parere preventivo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che comunque – interpretando quell’avverbio, prevalentemente – potrebbe intervenire dopo la nomina. E che, analizzando nel 2006 la posizione dell’ex ministro Siniscalco in relazione a un incarico alla Morgan Stanley, rilevava “come l’incompatibilità possa sussistere anche in assenza di concreti rapporti giuridici ed economici direttamente intercorsi tra la società e il dicastero presso cui il titolare di carica abbia svolto la propria attività. E, soprattutto, indipendentemente dall’esistenza di effettivi vantaggi acquisiti dall’impresa presso cui l’incarico viene assunto per effetto di comportamenti o decisioni adottati dal titolare di carica nel corso del mandato governativo. Il divieto è volto a escludere in radice anche la mera eventualità che l’esercizio delle attribuzioni inerenti la carica di governo possa essere influenzato dall’interesse a precostituirsi benefici futuri, ad esempio, in termini di incarichi successivi alla cessazione della carica governativa”. Se incompatibilità giuridica esiste in questo caso, lo deciderà eventualmente l’Authority presieduta da Giovanni Pitruzzella. Resta una questione di opportunità, anche solo considerando che sarebbe il cda presieduto da Franco Gallo a nominare l’onorevole Bray, che a sua volta ha contribuito in via preliminare alla nomina di Gallo.

@SilviaTruzzi1

Silvia Truzzi, Il Fatto Quotidiano 19/4/2014