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 2014  aprile 19 Sabato calendario

DE BORTOLITANO


Come ha quasi sempre dimostrato nei fatti, e soprattutto nell’attuale durissimo braccio di ferro con alcuni suoi scombiccherati editori (vedi penultima puntata di Report), Ferruccio De Bortoli è un giornalista di prim’ordine, onesto e signorile. Spesso non siamo d’accordo con lui (e viceversa), ma questo è il bello del pluralismo. Perciò, nel leggere sul Corriere la sua corrispondenza epistolare di amorosi sensi col presidente Giorgio Napolitano, abbiamo provato un surplus di stupore. Cosa spinge il direttore di un giornale a inviare lettere d’amore al capo dello Stato e per giunta a pubblicarle con risposta? In quale altro paese potrebbe mai accadere, a parte qualche repubblica caucasica o la Corea del Nord? L’occasione è il primo anniversario della rielezione di Re Giorgio, di cui De Bortoli rivendica la primogenitura per averlo implorato di restare al Quirinale e di non abbandonarci fra le procelle della crisi. Segue la solita leggenda metropolitana dell’“impasse eccezionale” dei partiti che non riuscivano a eleggere il suo successore e poi alzarono bandiera bianca, salendo in pellegrinaggio al Divino Amore acciocché egli “vincesse la sua più volte ribadita contrarietà” e accettasse la riconferma. Obtorto Colle, si capisce (naturalmente non è vero niente: Napolitano, dopo aver tentato invano di far eleggere al suo posto un suo clone, tipo Amato, o Cassese, o Marini, per sponsorizzare le larghe intese imposte da Arcore e da Francoforte, e dinanzi al pericolo che il suo successore fosse quel brigatista rosso di Rodotà, si imbullonò alla poltrona). De Bortoli si duole col presidente dei “piccoli interessi meschini” che ancora sventuratamente ostacolano le mirabolanti “riforme” da lui così sacrosantamente caldeggiate, ma anche della propaganda condotta dalle forze anti-euro “con argomenti falsi e tesi ingannevoli”, mentre il povero monarca rimane solo a incarnare il Bene degli “europeisti convinti”. Il finale è da manuale: “Caro Presidente, so che questi mesi del suo secondo settennato sono stati i più faticosi e ingrati. Chissà, forse si è persino pentito di aver ceduto alle insistenti pressioni per una sua rielezione”, e “molte polemiche l’hanno coinvolta, soprattutto sul tema delle prerogative che la Costituzione assegna al suo ruolo”, financo da “alcuni costituzionalisti” birichini. “Io personalmente sono convinto che lei non debba rimproverarsi di nulla”, e ci mancherebbe. Però, purtroppo, “il Corriere ha pubblicato articoli da lei poco graditi” (oddio, e quando? E come ha osato? Il Venerdì Santo comunque è il giorno buono per la penitenza, la contrizione e la flagellazione). Ergo, urge “una sua riflessione chiarificatrice”. Al confronto, l’intervista di Fabio Fazio di sabato scorso, con domande tipo “Qual è la prima volta che ha conosciuto l’Europa?” e “Come vede l’Europa?”, era un assalto all’arma bianca. Punto sul vivo dall’impertinente direttore del Corriere che gli chiede di recensire il primo anno del suo secondo settennato, Giorgio Sequel Napolitano prende carta, penna e calamaio e verga una strepitosa replica, intitolata “Ho pagato un prezzo alla faziosità, ma il bilancio è positivo”. Quindi tutto bene: lo dice lui. Solite frottole sulla “paralisi istituzionale” di un anno fa e sulla “concentrica pressione” che lui, seppur recalcitrante, fu costretto a soddisfare. Un bacione a Ferruccio “per il caloroso apprezzamento circa la mia decisione di un anno fa e più in generale circa il mio operato”. Tanto dolore per “fatti, atteggiamenti, intrighi che hanno concorso a gettare discredito – ben al di là di ogni legittima critica e riserva – sulla mia persona e sull’istituzione che rappresento” (i confini di legittimità li decide lui), insomma “è stato duro, faticoso e ingrato”, ma il “bilancio” è “positivo”. Lo dice lui: come sono stato bravo. E pazienza se ha riportato al governo un pregiudicato, se quel governo è naufragato in nove mesi, se nessuno degli obiettivi che si era dato un anno fa è stato centrato.
Quanto al suo crollo nei sondaggi, non dipende dal fatto che metà degli italiani non ne può più di questo sistema e del suo imbalsamatore, ma dallo “spirito di fazione” che gli ha fatto “pagare un prezzo nei consensi”, ma ci vuol altro per fargli “dubitare della giustezza della strada seguita”. Quindi ha ragione lui e, se lo dice lui, dobbiamo crederci. Siccome poi ha fallito in tutto, “confido che stiano per realizzarsi condizioni di maggior sicurezza, nel cambiamento, per il nostro sistema politico-costituzionale, che mi consentano di prevedere un distacco comprensibile e costruttivo dalle responsabilità”. Su questa frase in sanscrito, gli esegeti si cimenteranno nei mesi a venire. Di primo acchito, par di capire che stia pensando di andarsene anzitempo. Ma quando? Per ora lui si limita a confidare che stiano per realizzarsi condizioni che gli consentano di prevederlo. Altri sei anni, e ci siamo.

Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 19/4/2014