Daniela Ranieri, Il Fatto Quotidiano 18/4/2014, 18 aprile 2014
IL PARADOSSO DEL RIEDUCANDO
Più che una pena basata sulla privazione della libertà, la sanzione inflitta al sig. Berlusconi sembra un contrappasso dantesco: una vita tutta vissuta di sabato, tra pirotecnie kitsch per fermare il tempo e allontanare lo spettro di morte e malattie, che si agglutina in poche, ma forse lunghe, ore da passare con vecchi e sofferenti. Senza un briciolo di erotia nell’aria, se non, speriamo per lui, nel fugace passaggio dell’infermiera di turno. Senza telecamere ad attestare lo stato in vita del suo videovolto.
La formula scelta dai giudici per l’affidamento in prova ai servizi sociali è un capolavoro di capziosa political correctness: comprovata la volontà del condannato “di recupero dei valori morali perseguito dall’ordinamento”, si dà seguito alla pena alternativa agevolando un “processo di revisione critica e di emenda oggi in fieri”.
D’altra parte che B., ex frodatore, acquirente di minorenni, finanzieri, giudici e parlamentari, costruttore di vulcani e mausolei abusivi e datore di lavoro di mafiosi, abbia recuperato i valori morali, o che stia lì lì per farlo, è sotto gli occhi di tutti. Basta leggere l’Italicum. Nei criminali normali, la rieducazione ha la funzione di reinserire il soggetto in società. Ma il soggetto in questione in società si è inserito fin troppo, come la sentenza non manca di rilevare, e talmente a fondo che è semmai la società a dover essere rieducata.
L’espiazione si applica a quei soggetti che compiendo un reato hanno rotto il patto sociale, non a quelli che ne hanno creato uno ad hoc tra se stessi e la collettività basato sullo scambio “io vi do l’illusione, voi mi date l’impunità”. Il “ridimensionato”, qui (ché chiamarlo detenuto è un’offesa per chi lo è davvero), viene riconosciuto sì pericoloso, ma infiacchito in questa pericolosità sia per usura biologica, sia perché rubare 360 milioni di dollari è una cosa che si fa una volta sola nella vita, come sposarsi a Las Vegas, trafugare il sangue di San Gennaro, ballare sui tavoli.
Inoltre la rieducazione, come sanno i cultori del sadomaso, non serve a dissuadere il trasgressore dal compiere un’azione ritenuta punibile, ma semmai a perfezionarla. La sfida consiste nel farla sempre più grossa così da vedersi comminata una pena sempre più severa, ma facendo in modo di non venire scoperti per il più lungo tempo possibile. È questa dialettica che dà il particolare brivido all’“insofferenza per le regole” attestata dalla sentenza.
Non a caso, più della sanzione, la parola “rieducazione” ha ferito il condannato, che ha preso cappello tirando in ballo la mamma, che tante volte l’avrà sgridato quando rincasava tardi sudato, usava i vicini come prestanome o giocava col tesoro di Stefano Bontate.
Pare gli piaccia di più “prescrizione”, che vede come una rieducazione da parte sua della Magistratura (per i processi All Iberian e Fiamme gialle disse: “Non ho mai violato una legge dello Stato”, ma avrebbe dovuto aggiungere: “e mai lo Stato ha violato la mia”).
Come il Caligola di Camus, “ossessionato dall’impossibile”, in una solitudine piena di fantasmi rimuginerà forse sull’inconsolabile verità di non essere Cesare, indotto a una ridicola tenerezza per anziani e animali. All’apice della megalomania e in spregio delle istituzioni, quello aveva nominato senatore il proprio cavallo Incitatus. Lui promette un welfare per Dudù.
Il consolidamento dei valori morali che l’esperienza dei servizi sociali porta al rieducando serve a evitare la reiterazione del delitto: messo di fronte alla sofferenza, e avendo compreso di poter essere utile alla società con opere e servizi, il ladro non ruberà, l’omicida non ucciderà, lo spacciatore si metterà a vendere fiori. L’individuo, protetto da se stesso più che punito dallo Stato, non finirà più in cronaca nera. Ma per uno che la cronaca nera la produce, il lindore di corridoi al cloroformio può sì disincentivare l’invenzione di altri sistemi per frodare lo Stato, se non altro perché sottrae tempo ed energie all’ideazione di piani criminali, ma difficilmente cancella gli atti del passato, i cui effetti verranno presto o tardi giudicati in un’altra manciata di processi pendenti, e la comprovata, questa sì, capacità di nuocere.
Così la rieducazione di un ineducabile forse si tradurrà in un sentimentalismo d’accatto pronto per Verissimo, e non certo nella confessione di Caligola: “Dicono che ho il cuore duro. Ma non è possibile che sia duro, perché al posto del cuore io non ho niente”.
Daniela Ranieri, Il Fatto Quotidiano 18/4/2014