Daniele Martini, Il Fatto Quotidiano 18/4/2014, 18 aprile 2014
ALITALIA, ETIHAD TIRA IL FRENO “I CONTI NON CONVINCONO”
Se non è un addio è uno stiracchiato saluto a brutto muso. Sul fidanzamento tra Alitalia e gli arabi di Etihad scende il gelo proprio nel momento in cui sembrava fosse tutto un idillio in vista delle nozze. Nei giorni passati era stata fatta filtrare a iosa la notizia che da un momento all’altro sarebbe arrivata la famosa “lettera di intenti”, il documento con cui gli arabi avrebbero notificato tranquilli quanti quattrini e in cambio di quali condizioni e garanzie erano disposti a puntare sull’azienda italiana stremata da 6 anni di cura impartita dai “patrioti” berlusconiani. L’opinione corrente era che da quel momento si sarebbe aperta la trattativa vera e propria da tutti considerata difficile ma ancorata alla comune volontà di trovare un’intesa. Ora, invece, le cose si complicano. Come ha comunicato ieri pomeriggio il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi ai senatori, è effettivamente arrivata posta da Abu Dhabi, dove Etihad ha la sede. Non l’attesa missiva dura e allo stesso tempo incoraggiante, però, piuttosto una comunicazione che è come una frustata per le speranze di Alitalia. Una lettera in cui gli arabi alzano di molto il livello delle pretese.
Non è chiaro se si tratta di una drammatizzazione strumentale con l’intenzione di condizionare la trattativa prima del suo avvio ufficiale, oppure se il ripensamento prelude ad un divorzio prematuro. Il fatto che la frenata sia stata impartita dallo stesso emiro di Abu Dhabi proprietario della compagnia, Mohammed Bin Zayed Al Nahyan, e che le condizioni prospettate siano molto più severe di quelle attese fa comunque supporre che in entrambi i casi per Alitalia la faccenda si complica parecchio. Dopo 9 mesi di colloqui e una due diligence (verifica) sui conti della compagnia italiana durata settimane, gli arabi fanno sapere di non essere convinti di nulla. Avevano già fatto capire che avrebbero voluto almeno 3 mila dipendenti in meno su 14 mila, e una ripulita generosa del debito, ufficialmente intorno al miliardo di euro, ma che secondo autorevoli fonti interne supererebbe la strabiliante somma di 2 miliardi e mezzo. Per quanto riguarda i dipendenti, gli arabi si dimostravano poco convinti dell’efficacia di casse integrazioni e solidarietà varie che riguardano proprio 3 mila lavoratori (600 assistenti di volo, quasi 300 piloti e il resto impiegati e lavoratori a terra) preferendo soluzioni drastiche, cioè il loro “allontanamento dal perimetro produttivo”, modo involuto per dire licenziamenti. Prospettiva che, ovviamente, allarma moltissimo i sindacati. Per il debito ritenevano opportuno che le due banche azioniste di Alitalia (Banca Intesa con il 21 per cento e Unicredit con il 13) trasformassero i loro crediti per circa 400 milioni in ulteriori azioni.
A queste condizioni ora gli arabi aggiungono carichi da novanta sul pregresso fiscale e legale. In pratica vorrebbero la manleva sui complicati contenziosi che oppongono la compagnia all’ex azionista forte Carlo Toto e a Windjet, l’azienda catanese dei voli low cost di Antonio Pulvirenti, che Alitalia voleva comprare, ma che è poi fallita con un debito di 140 milioni di euro. Per quanto riguarda la parte fiscale i rappresentanti di Etihad non vogliono neanche lontanamente restare impigliati nella rete dell’affitto di aerei attraverso società di diritto irlandese giudicate dalla Guardia di Finanza un espediente usato per evadere il fisco per decine di milioni. Della partita farebbero parte anche i 20 aerei brasiliani da trasporto regionale Embraer comprati dall’Alitalia nel 2010 e anch’essi immatricolati in Irlanda e preferiti agli italo-russi Superjet. In questo caso le Fiamme gialle si sarebbero insospettite non solo per la sede della registrazione, ma per l’ingente quantità di fondi che sarebbe stata spostata dalla compagnia italiana verso il Brasile e altri paesi sudamericani.
L’incremento delle pretese arabe nei confronti di Alitalia rende ancor più squilibrato il rapporto tra le due compagnie. Per l’azienda di Fiumicino l’intesa con Etihad è davvero l’ultima spiaggia. Da mesi Alitalia vive attaccata alla canna del gas essendo riuscita ad evitare il fallimento con uno stiracchiato aumento di capitale pagato di malavoglia dagli azionisti con l’aggiunta di 75 milioni delle Poste concessi da Massimo Sarmi che sperava così di comprarsi la riconoscenza del governo in vista della riconferma che alla fine non c’è stata. Gli arabi, invece, ad Alitalia ci tengono, ma possono benissimo farne a meno nell’ambito della strategia di conquista dell’Europa cominciata con l’annessione di Air Berlin, Jat (serba) e Darwin già ribattezzata Etihad Regional.
Daniele Martini, Il Fatto Quotidiano 18/4/2014