Marcello Bussi, MilanoFinanza 18/4/2014, 18 aprile 2014
LEHMAN ENTRA IN SCENA
Chissà come l’avrebbe presa Giorgio Strehler, sacerdote massimo del culto di Bertolt Brecht. Perché l’evento clou della prossima stagione del suo Piccolo Teatro di Milano, cui ha dato l’anima e il sangue, sarà la prima italiana di Lehman Trilogy, storia della dinastia che ha fondato la banca collassata il 15 settembre 2008.
La regia sarà di Luca Ronconi, che, insieme all’autore della pièce, Stefano Massini, sta tagliando il testo di quest’opera monumentale per ridurre la rapprentazione di un paio d’ore dalle 6 o 7 della sua messa in scena integrale. Massini è un fiorentino coetaneo di Matteo Renzi, le sue opere (come Donna non rieducabile sull’assassinio della giornalista russa Anna Politkovskaja) sono rappresentate nei teatri di tutto il mondo, Lehman Trilogy è già un successo straordinario in Francia. E in Italia? «Sono sicuro che se avessi scritto un testo barricadero, raccontando la storia della banca Lehman alla Bertolt Brecht in Santa Giovanna dei Macelli, se avessi dipinto i Lehman come squali, aguzzini, dissanguatori del popolo, quel testo avrebbe già avuto un paio di allestimenti in Italia perché avrebbe assecondato i gusti del pubblico», dice Massini mentre si gode i primi caldi nel cortile della sua casa del XV secolo nella piatta campagna alle porte di Firenze. E invece? «La mia intenzione era di scrivere un testo sulla caduta di Lehman. Ma quando ho cominciato a documentarmi, partendo dalla lettura di The Last of the Imperious Rich, il saggio fondamentale di Peter Chapman, mi sono reso conto che qualsiasi cosa io leggessi mi interessava molto di più la storia della Lehman che non la cronaca della sua caduta». Una storia che ha le sue radici a Rimpar, un paese della Baviera da dove parte per l’America Henry Lehman, 23 anni, «figlio di un mercante di bestiame/ebreo circonciso/con una sola valigia al fianco/fermo immobile/come un palo del telegrafo/sul molo number four/del porto di New York» (questo è l’incipit dell’opera di Massini, ebbene sì, è scritta in versi). È l’11 settembre 1844. Da qui comincia la saga. Henry non si ferma a New York, ma si dirige a Montgomery, in Alabama, dove apre un negozio di stoffe. Massini segue ogni evoluzione della ditta Lehman, che passa dal baratto (i clienti del negozio pagano in cotone grezzo) alla moltiplicazione dei soldi con i soldi stando seduti di fronte al terminale di un computer. «Nei tre anni di lavoro consacrati alla scrittura del testo, mi sono convinto che fosse la storia di tutta la nostra società moderna e che valesse la pena di raccontarla», dice Massini senza nascondere l’entusiasmo. «Perché è una storia titanica, che contiene la ragione per cui siamo arrivati a questo punto. E la racconta a 360 gradi: c’è la globalizzazione, la società dei consumi, dall’arrivo del relativismo alla deriva epicurea di una società che ha scelto il facile guadagno, chiedendo all’economia di trovargli i mezzi per farlo». Massini descrive in modo suggestivo il processo di smaterializzazione dell’economia, come quando i fratelli Lehman, incerti se investire o meno nell’affare del momento, le ferrovie, decidono di andare a vedere di persona. Arrivano nel bel mezzo della campagna americana, dove vengono accolti da un gruppo di persone elegantissime che mostrano loro «l’assenza di ogni cosa/Una valle/Un fiume/Cespugli/Mosche». I fratelli Mayer ed Emanuel Lehman, ormai 60enni, restano a bocca aperta, ma è lestissimo a prendere in mano la situazione, il giovane Philip, figlio di Emanuel, che li convince seduta stante a finanziare il progetto.
Il processo di smaterializzazione culmina nei mitici anni 60 del secolo scorso, quando il direttore marketing, durante il lunch del lunedì, si rivolge così ai partner di una Lehman Brothers ormai a gestione manageriale: «Se faremo entrare in testa/al mondo intero/che comprare è esistere/noi romperemo, signori miei/quell’ultima vecchia barriera che si chiama/bisogno/Il nostro obiettivo/è un pianeta Terra/in cui non si compri più nulla per bisogno/ma si compri per istinto/O se volete, concludendo, per identità/Solo allora le banche, signori/diventeranno immortali». La profezia sembra essersi realizzata. Peccato che nel frattempo Lehman sia morta. «Come nella grande epica, da Omero a Moby Dick», replica Massini, «anche in questo caso i protagonisti peccano di hybris, di tracotanza, pagano il fatto di essersi ritenuti superiori a Dio, di aver sfidato la legge di gravità dicendo: questi soldi possono diventare molti di più senza essere legati al lavoro, senza dover creare qualcosa». Massini, però, non condanna la famiglia Lehman. Ne è anzi un sostenitore entusiasta perché «hanno risposto a un bisogno che veniva dal basso. Perché tutti noi contestiamo il meccanismo dei soldi staccati dalla realtà, ma poi siamo i primi a chiedere l’appuntamento in banca per poterli moltiplicare nel campo dei miracoli, proprio come Pinocchio». Ma soprattutto, continua Massini, «studiando la storia della famiglia ho scoperto l’umanità della finanza, una peculiarità di Lehman. Anche in Merrill Lynch e in Goldman Sachs ci sono stati aspetti di finanza illuminata, che li ha portati a sostenere settori dell’imprenditoria decisivi nel cambiare in meglio il modo di vivere dell’umanità. Ma nessuno l’ha fatto come Lehman, un gruppo particolarmente lungimirante e perspicace nella scelta di finanziare l’acquisto del televisore in ogni famiglia, i supermercati, l’informatica alla portata di tutti, facendo investimenti che all’epoca nessun altro avrebbe fatto. Per non parlare del teatro e del cinema, con i finanziamenti a film che hanno segnato un’epoca, da King Kong a Via col Vento. Persino Marlon Brando diceva di dovere la sua carriera a Lehman, che ha sostenuto Fronte del Porto e tante altre sue pellicole». Non c’è dubbio: Strehler si rivolterà nella tomba.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 18/4/2014